Note di regia del documentario "Left By The Ship"
"
Left By The Ship" è stato realizzato nel corso di 3 anni. Due anni di riprese, in cui abbiamo raccolto quasi 200 ore di materiale, più circa un anno di montaggio.
Nel 2007, grazie ad alcune connessioni personali con una ONG Filippina, siamo venuti a conoscenza della vicenda degli Amerasiatici e siamo rimasti subito colpiti dall’ingiustizia della loro condizione. Soprattutto ci ha colpito il fatto che queste persone siano il risultato vivente di politiche militari internazionali e di strategie globali. Gli Amerasiatici filippini sono la prova tangibile di un imperialismo, di una sopraffazione culturale, che arriva a riflettersi nelle relazioni interpersonali e familiari. Questa era per noi una riprova del fatto che nessuno è immune a ciò che succede a livello globale.
Quando ci siamo avvicinati agli Amerasiatici, ci aspettavamo un gruppo compatto e consapevole, ma non era così. Abbiamo incontrato ed intervistato più di 50 Amerasiatici ed abbiamo scoperto che spesso, essendo stati derisi e discriminati per tutta la vita, soffrono di una bassissima autostima. Portano sulle spalle il peso del passato delle madri e dell’assenza dei padri, si vergognano di quello che sono. Il senso di perdita è logorante. Le loro intere esistenze sono plasmate dal puro fatto di essere nati in conseguenza della presenza militare e dalla prostituzione qui indotta. Problemi psicologici, abuso di sostanze, rabbia e smarrimento sono fattori comuni. La coazione a ripetere gli errori dei genitori è molto frequente. Abbiamo presto capito che questo non poteva essere un film solo politico, almeno non nel senso stretto del termine.
L’esperienza più importante nel realizzare questo film, è stata per noi quella di aver guadagnato la fiducia dei nostri amici Ameraisatici, e l’aver stretto con loro quel patto sempre necessario tra documentarista e soggetto filmato. Grazie al tempo trascorso insieme e all’aiuto impagabile della nostra troupe filippina, abbiamo intrapreso un percorso comune che, speriamo, sia stato di crescita e di presa di coscienza per tutti i coinvolti. Noi compresi.
Ci siamo sforzati di diventare invisibili durante le riprese e lasciare spazio ai nostri protagonisti perché decidessero loro cosa mostrarci e come raccontarsi. Così abbiamo fatto un film che, crediamo, non parla solo di discriminazione e imperialismo, ma soprattutto della ricerca d’accettazione e di appartenenza, così comuni a tutti gli esseri umani.
Vorremmo che un documentario fosse sempre un pezzo di vita in forma di cinema. Vita di chi lo fa, fusa insieme a quella che racconta. Perché quando la fusione riesce, accoglie e pervade anche la vita di chi lo vede. Concentrandoci sul piano emotivo, speriamo che ogni spettatore possa sentire più vicina a se la causa degli Amerasiatici.
Emma Rossi Landi e
Alberto Vendemmiati