Gianni Canova e 10 anni di cinema italiano in 100 film
Il suo libro percorre gli ultimi dieci anni di cinema italiano. Ha trattato solo la finzione o si troveranno dei casi di cinema documentario?
Gianni Canova: Ce n'è un po, ma purtroppo meno di quanto ne avrei voluto inserire. In realtà è difficile da mappare il cinema documentario, perchè ha dei percorsi sfuggenti, meno classici. Qualcosa c'è, mi viene in mente Alina Marazzi, ma forse con i documentari di questi dieci anni ci sarebbe materiale per un altro libro.
E a tal proposito, pensa che l'Italia contemporanea del decennio trascorso sia stata raccontata meglio dal documentario o dalla finzione?
Gianni Canova: Dipende sempre dai casi, e non sarei per una dicotomia così rigida. A volte le cose più interessanti sono un po a cavallo, ibride. Viene da chiedersi se film come “Le quattro volte” di Michelangelo Frammartino o “La bocca del lupo” di Pietro Marcello siano documentari o film di finzione. Sono forme ibride che contaminano i registri, gli stili e i linguaggi.
Di certo saranno ricordati come gli anni dei remake del cinema di genere degli anni '60 e '70. Di cosa è sintomo questa scelta dell'industria produttiva di casa nostra?
Gianni Canova: Io ne prendo in esame qualcuno, come “Eccezzziunale veramente. Capitolo secondo...me”. Ciò che viene fuori esaminando questa tipologia di remake o di sequel è l'inerziale immodificabilità del linguaggio italiano. Se prendi i due “Eccezzziunale veramente” e li confronti, ti rendi conto di come l'immaginario che sta dietro al secondo sia identico al pilota di quasi trent'anni prima. Lo stesso vale per il “Monnezza”. Sono prodotti parassitari che propongono un immaginario identico ad un pubblico che però è cambiato. Sono interessanti solo perchè ti fanno notare l'inerzia e la resistenza al cambiamento.
E tra l'altro certe citazioni a spot o a fenomeni televisivi del momento, rischiano di farli diventare fine a stessi. Uno spettatore fra cinquant'anni probabilmente non capirà il senso di alcune sequenze, ne conviene?
Gianni Canova: Il parassitismo che citavo prima è soprattutto orientato verso la televisione. Si tratta di parassitismo occasionale, estemporaneo, legato a fenomeni assolutamente effimeri, ed è la parte che io ritengo meno interessante. C'è stato una specie di svuotamento di quello che erano i generi di profondità del cinema italiano dei '60 e '70. Adesso sono solo generi superficiali, spuma mediatica che non va da nessuna parte, né nella pancia degli italiani, né nella pancia del cinema.
Oltre alla lettura della critica, un altro fenomeno che in passato riusciva a portare a cinema numerosi spettatori erano i premi. Lei apre il suo libro con “I cento passi” e lo chiude con “Vincere”, due film che hanno fatto incetta di riconoscimenti ambiti quali i David. Crede che oggi i premi riescano ancora ad influire sulla scelta dello spettatore?
Gianni Canova: Io credo che i David non riescano ad avere una forza propulsiva. I premi che funzionano un po sono la “Palma d'oro” di Cannes, gli “Oscar” e il “Leone d'oro” di Venezia. I David sono legati agli interessi della corporazione ed è difficile che un film molto innovativo vinca, perchè si tende a difendere la tradizione e non il nuovo, ma così funziona anche per gli “Oscar”.
Capita poi che certi critici che scrivono male di un film in Italia, si ravvedano quando la pellicola fa rumore all'estero. Quando escono film come “Gomorra” o “Il divo” leggi “finalmente il cinema italiano è pronto ad uscire dalla crisi”. Ma di quante fantomatiche “crisi” dobbiamo ancora sentir parlare prima che si possa tornare a parlare tranquillamente del cinema di casa nostra?
Gianni Canova: Succedeva cinquant'anni fa con “La dolce vita”, stroncato in Italia e quando va a Cannes, gli stessi critici che lo avevano attaccato scrivevano “il capolavoro di Fellini trionfa sulla croisette”. Non cambia mai nulla in questo paese. Sono formule giornalistiche che lasciano il tempo che trovano. Credo che siano facili espedienti per evitare di entrare nel cuore del problema. Oggi credo si possa parlare di crisi dal punto di vista produttivo, economico o tecnologico, ma dal punto di vista progettuale e creativo credo con onestà che non sia uno dei peggiori periodi per il cinema italiano.
30/11/2010, 16:05
Antonio Capellupo