Note di regia del documentario "Il Castello"
Abbiamo deciso di girare un film in un aeroporto intercontinentale perché crediamo che sia il luogo in cui, meglio che altrove, si riesce a comprendere l’ossessione per la sicurezza, la paura dell’altro e la strategia del controllo che pervadono il nostro presente. Ogni aeroporto è percorso da un doppio movimento: da un lato c'è il flusso provvisorio, multiforme e conosciuto delle persone che viaggiano, dall'altro il ciclo continuo, ripetitivo e sconosciuto dei lavoratori e dei loro strumenti. Lo sguardo del film è rivolto ai luoghi normalmente inaccessibili e invisibili perché è nel loro rivelarsi e nel loro stabilire un rapporto con ciò che si conosce che il mosaico si fa completo e che si spiega l'indissolubile legame tra controllore e controllato, tra programmazione e casualità, tra sicurezza e paure reali o costruite. Scegliamo di seguire il lavoro delle forze dell’ordine, non per sposarne il punto di vista, ma per consentire al nostro sguardo di rimanere sospeso in equilibrio tra il forte e il debole, tra il legale e l’illegale, tra chi esercita il potere e chi è costretto a subirlo.
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Il castello" è un film d’osservazione: mettiamo la nostra macchina da presa sul cavalletto e la puntiamo per cercare di capire le cose che accadono davanti ai nostri occhi e alle nostre orecchie. Diamo alle immagini, al film una struttura, combinando pensiero razionale ed emotivo.
Massimo D’Anolfi e
Martina Parenti