"La Fine è il Mio Inizio": un film sulla personalità
illuminata di Tiziano Terzani
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Perché la morte deve farci così tanta paura? È quello che tutti quanti hanno fatto prima di noi”. La personalità illuminata (è proprio il caso di dirlo) di Tiziano Terzani, celebre reporter di guerra, scrittore, ma prima ancora viaggiatore curioso e conoscitore attento delle culture orientali, rivive ora al cinema nel film “La fine è il mio inizio”, tratto dall'omonimo libro che il giornalista, nei mesi terminali della sua malattia, ha dettato al figlio Folco.
Il regista tedesco
Jo Baier e i suoi attori, uno straordinario
Bruno Ganz e il talentuoso
Elio Germano, portano sullo schermo un vero e proprio racconto orale. Un'ora e mezza di dialoghi, di lunghi silenzi, in cui spesso sono i paesaggi a dominare la scena, in un'immersione totale in una natura incontaminata che si fa metafora di quell'essere cosmico di cui Terzani sente – alla fine dei suoi giorni – di fare parte.
In questo senso, “
La fine è il mio inizio” è un film difficile. Baier e i suoi sceneggiatori (lo stesso
Folco Terzani affiancato da
Ulrich Limmer, che è anche produttore) hanno scelto con coraggio di evitare flashback per “movimentare” il film, facendo a meno di ricostruzioni di fantasia, e tentando invece di restare fedeli il più possibile alla storia di vita vissuta realmente da Folco, in quei tre mesi di ritiro in Orsigna insieme a suo padre.
Una scommessa vinta, a conti fatti. La sceneggiatura scarna, intrisa di misticismo e spiritualità, non annoia mai e non si abbandona a insopportabili derive new-age, e così Ganz, che riesce a fornire, con la sua interpretazione, un ritratto vivido della personalità multiforme e sfaccettata di Terzani, che pure dopo la sua conversione alle religioni orientali non perse mai quei tratti di gigioneria e ruvidezza tutta toscana che lo caratterizzarono fino alla fine.
Ottima anche la prova di Germano, che torna sullo schermo dopo la vittoria a Cannes rinunciando a facili protagonismi, con il compito – nient'affatto semplice – di ascoltatore e “spalla”, che affida a sguardi e silenzi l'intensa interpretazione di un figlio che riscopre un padre, tanto ingombrante quanto amato, nel momento più difficile.
30/03/2011, 11:00
Lucilla Chiodi