Marco Bertozzi e il suo racconto di una Cinecittà inedita
Stai ultimando la lavorazione del tuo prossimo documentario “Cinecittà Campo Profughi”. In che occasione è nato il progetto?
Marco Bertozzi: L'idea nasce nel lontano 2005 quando Noa Steimatsky, una cara amica che insegna presso la Yale University vinse a Roma un importante premio per un lavoro di ricerca sugli anni in cui Cinecittà divenne un enorme campo profughi. Abbiamo deciso di scrivere insieme il soggetto e il trattamento per questo documentario e lei lavorerà ad un libro. Poi mi trovai a parlarne nel 2009 a Luciano Sovena di “Cinecittà Luce” che ne vide qualcosa di importante, ci fu il grande interesse di Gregorio Paonessa della “Vivo Film” e infine è arrivato il finanziamento del Ministero di 40 mila euro.
Quali elementi ti affascinavano maggiormente di questa pagina di storia?
Marco Bertozzi: Di sicuro il fatto che migliaia di profughi vivessero ammassati negli studios, cercando di trasformare in unità abitative le scenografie del cinema anni '30 dei cosiddetti “telefoni bianchi” era un elemento di grande fascino. E poi vedo questa storia come una sconfitta del “Neorealismo” perché alle porte di Roma molti bambini morivano di tifo e nessun cineasta ha saputo raccontare quella storia.
Studiando questo “strano caso” ti sei imbattuto in qualche curiosità legata alla storia del cinema?
Marco Bertozzi: Per le scene di folla in “Quo Vadis ?” molti profughi vennero vestiti da centurioni romani e sfruttati come comparse e la loro paga era il cestino giornaliero. Nel film venivano accusati da Nerone dell'incendio di Roma e questo mescolarsi di drammi tra vita vera e cinema l'ho trovato molto particolare.
Ma è possibile che nessun organo di informazione abbia saputo diffondere questa notizia in passato?
Marco Bertozzi: La filosofia è sempre stata quella del “i panni sporchi si lavano in famiglia” e né i documentari del Luce né i cinegiornali hanno parlato esplicitamente dei bambini morti di tifo. Paradossalmente lo sguardo esterno è stato più forte e molte fonti americane invece hanno trattato l'argomento.
E oggi cosa è rimasta di quella che è stata considerata la “Hollywood sul Tevere” per molti anni?
Marco Bertozzi: Quelli che per anni sono stati i secondi studios del mondo, oggi si sono trasformati per lo più in studi televisivi, fatta eccezione per qualche produzione cinematografica che continua a lavorarvi. L'attenzione dei giornali non c'è più, tutto si è spostato sul web, e anche il potere di fascinazione in questo è decaduto. Di recente sono stati organizzati dei tour e l'impressione è che possa rivivere come parco tematico.
10/05/2011, 15:54
Antonio Capellupo