Note di regia del film "La Strada Verso Casa"
Il film nasce da una precisa esigenza emotiva.
La vita che prende direzioni crudelmente inaspettate, violente, imprevedibili. L’impossibilità di opporsi all’invasione del dolore, poiché parte integrante del vivere, di esso presenza ineliminabile.
Domandarsi allora. Che vita dopo il dolore, se di vita si tratta? E come ad esso reagire o come con esso vivere, convivere? Perché se vero è che non esiste altro modo di non vivere il dolore, che non sia rinunciare a vivere (la vita come le emozioni), vero è anche che si può forse in qualche modo resistere ad esso, porvi una cura, cercare ostinatamente una dolcezza che possa delicatamente lenire le sofferte ferite. Non volevo quindi parlare della morte nella istantanea violenza in cui questa dilaga ed accade. Ma volevo provare a raccontare il tempo del dopo, l’eterno presente in cui sembra che tutto si ripeta uguale a se stesso, senza possibilità di un cambiamento, di una deviazione in un altrove nuovamente possibile.
Iniziando a scrivere la prima storia a nascere, poiché più strettamente legata ad un passato a me riconoscibile, a scelte e dolori da me conosciuti, è stata quella del giovane scrittore che si trova ad affrontare la morte del padre. In essa ho sentito forte la mancanza che nel mio presente sento della mia famiglia. Il desiderio di voler condizionare la propria vita al di là delle scelte che questa inevitabilmente ci costringe a fare, e rendersi conto che quasi mai è possibile, se non rinunciando a pezzi di vita, a momenti di un tempo che non può mai perdurare uguale a come era.
Su questa storia ho incontrato una ricca famiglia, due anziani signori costretti ad un presente di non-vita, dove nella ossessiva perfezione del benessere e della ricchezza il dolore non era mai entrato. E forse però non era mai entrata neanche la capacità piena di sentire la vita.
Ecco improvvisa la morte della figlia, il dispiegarsi violento e crudo del dolore – l’imperfezione che scombina gli equilibri, ad alterarli forse definitivamente. L’incapacità così di porvi resistenza e di costruire rimedi adeguati, se non a prezzo di farsi prendere dalla vita, in tutta la sua disperata e meravigliosa verità.
Infine la figura di una giovane donna decisa a vivere in ospedale accanto al marito in coma. Il coraggio e la fermezza, piena e vitale, di resistere al dolore, senza mai farsi derubare della capacità di guardare alla vita, di pensare che forse solo tenendola stretta si possa in qualche modo sperare di ritrovarla, altrove. La forza tutta materna, esclusivamente femminile, di non fuggire, di non arrendersi, di non deviare dal dolore, schermandosi di indifferenza o paura, ma accettandone in toto la violenza, opponendone candore, semplicità, delicatezza, coraggio.
Ora è arrivato il momento di lasciarli in qualche modo. Sono incollati a quelle immagini, abitano quei luoghi, sono passati prima da un emozione ad un pensiero, poi ad una storia, infine da una immagine alla realtà. Perchè ora stanno un pò negli occhi di chi vedrà, ascolterà, sentirà.
Ho sofferto di loro e con loro.
Sempre convinto che la vita muti continuamente. Che il corpo e i pensieri siano spesso attraversati da misteriose cicatrici, segni indelebili degli incontri con il dolore, ma sicuro che al tempo stesso siano anche meravigliose prove che si stava vivendo, in toto, la vita.
Samuele Rossi