Stefano Mainetti: "Ho scritto musica per
Lucio Fulci e Giovanni Paolo II"
Partiamo dalle tue origini artistiche, quando hai iniziato a interessarti alla musica?
Stefano Mainetti:
Io non provengo da una famiglia di musicisti, fu solo per caso che, a sei anni, mi regalarono una chitarra e i miei genitori, visto il tempo e la passione che dedicavo allo strumento, decisero di farmi iniziare lo studio della chitarra classica. A casa inoltre c'è sempre stato un pianoforte che strimpellavo fin dai primi anni d'età. Solo più tardi, dopo il liceo, ho cominciato a studiare composizione mentre frequentavo l'università.
All'inizio la mia famiglia era ben contenta dei miei studi musicali, quando si sono resi conto che il mio hobby preferito avrebbe potuto diventare la mia professione, allora lì sono cominciati i problemi. Non avendo conoscenza del settore non sapevano come aiutarmi ed erano preoccupati per il mio futuro, poi la passione ha prevalso e con i primi risultati si sono rilassati, anche perché ho cominciato a lavorare abbastanza presto.
Che cosa smuove il tuo spirito creativo?
Stefano Mainetti: All'origine di tutto c'è la necessità di esprimersi attraverso la musica. Capivo che comunicare mi riusciva meglio con le note che non con le parole.
Sembra un concetto banale ma si può esprimere un sentimento con la musica ed essere capito da tutti senza bisogno di traduzioni. Nonostante la musica sia un linguaggio, è più immediato di qualsiasi altra forma di comunicazione, arriva direttamente al cuore di chi ti ascolta. Credo sia solo fortuna, ci nasci con questa predisposizione, poi gli studi affinano e completano la tua preparazione, ma alla base c'è una voglia, una necessità e una grande soddisfazione nell'esprimersi e nel mostrarsi così.
Qual è il genere musicale che ascolti più volentieri?
Stefano Mainetti: Ho sempre ascoltato tutti i generi di musica, dalla classica al jazz, dal pop Italiano al rock inglese. la mia adolescenza era accompagnata dai Genesis e dai Pink Floyd, più tardi Stevie Wonder, Manhattan Transfer e Earth, Wind and Fire, l'elenco sarebbe lunghissimo. Mi sono appassionato quasi subito alle colonne sonore, le ho sempre interpretate come si fa con l'opera nella musica classica: una serie di elementi concorre per dare allo spettatore più stimoli possibili (libretto, recitazione, musica, costumi, scenografia) e tutti insieme danno un risultato che è superiore alla somma delle singole parti. In fondo il "film" di oggi sostituisce quella che era l'opera di un tempo, non è proprio "recitar cantando" ma è pur sempre una sorta di melodramma contemporaneo.
Quando lavori a una colonna sonora sei solito andare sul set per farti un’idea e per entrare meglio nel film o nella fiction o ti basi sul copione?
Stefano Mainetti: Appena possibile cerco di lavorare sulla sceneggiatura, prima che inizino le riprese. Non sempre è possibile ma la cosa migliore è "respirare" l'aria del set, lavorare con gli sceneggiatori, il regista, gli attori: questo ti dà modo di maturare le tue idee e di entrare in sintonia con chi lavora con te e soprattutto con il film.
Molto dipende anche dal genere che stai affrontando. Le musiche per un film d'azione richiedono moltissimi sincroni con l'azione scenica, che vuol dire che il film dovrà essere completamente montato prima che il musicista possa metterci definitivamente mano. Diversamente un film drammatico può prescindere da vincoli così precisi, permettendoti di lavorare in forma definitiva anche in anticipo sul final cut.
Tu hai composto le musiche per circa 100 film, da “Deliria” di Michele Soavi a “Silent Trigger” di Russell Mulcahy alla serie televisiva "Orgoglio". C’è differenza tra la scrittura per il cinema e quella per la televisione?
Stefano Mainetti: La differenza sta nello spettatore. Chi va al cinema paga il biglietto, si siede e guarda il film. La televisione ha una fruizione diversa, non si è così concentrati, spesso è l'ora di cena quando comincia una fiction e il
bailamme intorno distrae lo spettatore, c'è la pubblicità. Va da se che il musicista deve essere più diretto ed esplicito già dai titoli di testa. Hai pochi secondi prima che l'utente cambi canale e devi azzeccare un tema che lo tenga inchiodato lì. Al cinema non puoi cambiare canale quindi non solo la musica, ma tutte le altre componenti del film tengono conto di questi parametri.
Il discorso cambia quando film destinati alle sale cinematografiche sono co-prodotti dalle reti televisive ed avviene spesso in Italia perché la pellicola, che incassa poco nelle sale, verrà molto presto riproposta in televisione, recuperando soldi con la pubblicità. Questo fa sì che già dalle prime fasi si pensi anche alla messa in onda televisiva.
Descrivici il rapporto che si viene ad instaurare tra compositore e regista.
Stefano Mainetti: Il massimo storico sono i rapporti tipo Hermann-Hitchcock, Williams-Spielberg, Rota-Fellini o Morricone-Leone. In tutti questi casi c'è stata una sintonia duratura che ha determinato ed influenzato reciprocamente lo stile delle loro opere. Non puoi più separare la scena della doccia di "Psycho" dalla sua musica e viceversa, così come accade per le atmosfere circensi di Rota e Fellini o degli enormi spazi musicali che Leone lasciava a Morricone.
Il film è il risultato di un lavoro d'équipe fra tutti quelli che vi partecipano. Rifacendoci al discorso di prima il film, quando riesce, ha delle proprietà emergenti che esistono solamente nella loro coralità. Per fare un esempio: puoi avere una bella scena senza musica che da sola vale 7, poi puoi avere una bella musica senza scena che da sola vale 8, il bello del cinema è che quando le metti insieme, non ottieni 15 ma 100! Ahimé succede anche il contrario, se sbagli puoi avere una musica bellissima che però non funziona su quella scena. Una parte molto interessante del mio lavoro è vedere come cambia una scena quando cambi musica: sembra un'altra cosa, magari sembra più lenta, invece non è stato toccato nemmeno un fotogramma, è solo la musica che ti ha fatto cambiare lo stato d'animo variandone la prospettiva.
C’è un film o una pellicola che avresti voluto musicare?
Stefano Mainetti: "2001 Odissea nello Spazio". E' il film che porterei sull'isola deserta. In realtà la colonna sonora in oggetto ha una storia strana. All'inizio Kubrick ingaggiò il grande Alex North per scrivere un commento originale ma in corso d'opera cambiò idea e usò solamente musica classica, da Strauss a Ligeti a Kachaturian. Il povero North apprese questa scelta del regista solamente durante la prima proiezione del film e, ovviamente, ne soffrì parecchio. Ecco, per assurdo, mi sarebbe piaciuto scrivere la colonna di "2001" con maggior fortuna di quanta non ne abbia avuta North, che comunque scrisse una partitura meravigliosa pubblicata postuma nei primi anni '90.
Con la musica tu spazi molto tra i generi, dall’horror arrivando ad una nomination ai Classical Brit Awards con una composizione religiosa come "Alma Mater".
Stefano Mainetti: E' vero, ho scritto diversi tipi di musica, mi piace sperimentare e non fermarmi ad un genere specifico ma seguire i sentimenti e l'emozione. C'è una frase di un giornalista americano che riassume questo in maniera ironica:
…Stefano Mainetti the only man known to have written music for both Lucio Fulci and Pope John Paul II. Che più o meno suona così:
…Stefano Mainetti l'unico uomo conosciuto per aver scritto musica per Lucio Fulci e Giovanni Paolo II.
Un po' il diavolo e l'acqua santa, la cosa mi diverte e rispecchia il mio carattere.
Ho anche conosciuto personalmente Papa Wojtyla nel 1999 durante la lavorazione del cd "Abbà Pater". La cosa che mi colpì di più fu la sua semplicità, il suo essere non convenzionale, la sua forza nella comunicazione; era uno sportivo, aveva fatto l'attore e qualsiasi altra carriera avesse intrapreso avrebbe sicuramente avuto un grande successo. Ecco, mi sono detto, se una persona di tale levatura sceglie un percorso di fede, avendo a disposizione tante altre possibilità, allora è bene che io, umilmente rifletta sul mio rapporto con la fede che è sempre stato, per così dire, "dinamico".
Cosa consigli ai giovani compositori visto che in Italia i compositori i cantanti e i musicisti non hanno vita facile?
Stefano Mainetti: Non che altre professioni siano più semplici, soprattutto oggi, ma è vero, quella del musicista è una vita un pò particolare, intanto è lei che sceglie te, non il contrario, poi, come tutte le passioni, non c'è niente da fare, alla fine la devi seguire. Anche se non fai il musicista io consiglio sempre un sano studio della musica, non farlo è come perdersi un punto di vista privilegiato della vita, è come non studiare la storia, la filosofia, la matematica. Purtroppo in Italia rispetto ad altri paesi questo studio viene fatto poco e male nelle scuole dell'obbligo, e pensare che la massima espressione artistica è, nella sua forma moderna codificata proprio in Italiano, per non parlare del melodramma, l'opera, l'abbiamo inventata proprio noi Italiani.
19/09/2011, 15:02
Carlo Griseri