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Note di regia de "I primi della lista"


Note di regia de
Mi sono innamorato di questa storia la prima volta che l’ho sentita. Dalle mie parti, a Pisa, è una sorta di leggenda che viene raccontata fin da quel 2 giugno 1970 quando uscirono gli articoli sulla Stampa e il Corriere della Sera con il titolo Stupore a Pisa: tre ragazzi chiedono asilo politico all’Austria.

È un film che parla di un tempo che adesso sembra epico e lontanissimo. Anche se in Italia il clima politico è stato più caldo e cruento che in altri paesi europei, nel 1970 c’erano ancora gli ultimi sprazzi di un’ingenuità, di una purezza tipica del periodo prima della strage di Piazza Fontana. Si stava in bilico fra la paura di una guerra civile e l’ingenuità degli anni sessanta. C’era ancora lo spazio per un orizzonte mitico e avventuroso e questa storia spero renda onore all’entusiasmo di essere giovani e al talento che hanno tutti a venti anni, ieri come oggi, di fare delle meravigliose cavolate. In fondo, chi non ha mai pensato di scappare di casa? Chi non ha vissuto un giorno folle da cui è uscito cambiato e maturato per sempre?

Nonostante il film sia un piccolo film con un piccolo budget ho avuto la fortuna di lavorare con la Palomar che fin dall’inizio ha spinto perché io creassi un gruppo di giovani, un cast artistico e tecnico di persone affini a me. Non a caso alla fine delle riprese eravamo affiatati e uniti come un gruppo di amici che si conosceva da anni. Anche con gli attori ho avuto la massima libertà. Il mio unico metro è stato: quale attore è giusto per questo ruolo? Quale attore mi convince, con quale attore riesco a lavorare bene? Due dei tre protagonisti sono degli esordienti e sono orgoglioso di averli portati per la prima volta sullo schermo. Sono sicuro che faranno altri film dopo questo, e quando ho rivisto le scene per decine di volte nella sala di montaggio, ho continuato a dire: grazie al cielo ho scelto gli interpreti giusti. Se c’è una cosa di cui vado fiero è la scelta degli attori e la loro recitazione. Abbiamo fatto giorni e giorni di prove per affinare i dialoghi, prendere confidenza con i personaggi, fare in modo che al momento di girare tutto fosse spontaneo, scorrevole, vero.

E devo ringraziare Claudio Santamaria più di tutti perché si è messo al servizio completo del film, ha aiutato me e gli altri due attori più giovani in ogni momento e in ogni modo possibile. Lui era il più esperto ma non ce l’ha fatto pesare neanche per un minuto. Si è messo al nostro livello e per me è stata un’iniezione di fiducia senza prezzo.
Anche la scelta delle musiche non è andata in una direzione scontata. Mentre in scena gli attori cantano due canzoni di lotta, la colonna sonora non è una riedizione della musica anni sessanta e settanta. Con gli autori della colonna sonora Ratchev e Carratello abbiamo provato a fare un lavoro di ricerca che ci portasse a trovare un equilibrio tra fiati e marce militari che avesse dentro le due nature del film: la paura del colpo di stato militare e la comicità a tratti grottesca della storia.

L’ultima canzone cantata dai tre “Quello che non ho” di De André è stata scelta per raccontare cosa è avvenuto dopo la fine del film. La canzone infatti è del 1981 e incarna perfettamente la fine di un epoca, l’orgoglio e la purezza di una generazione (quella dei nostri tre protagonisti) che è stata sconfitta. Abbiamo provato anche a fare una scelta sui costumi e sulla scenografia in modo che fossero semplici, verosimili ma non il frutto di una ricostruzione storica pedante. Volevamo che l’impatto rendesse attuali quegli anni rivisitandoli, filtrandoli con gli occhi di adesso. Il paesaggio sgombro di macchine e di persone richiama ad una sorta di visione di un paese sull’orlo del precipizio, un’Italia surreale, pronta al suo ultimo giorno, perché è così che la percepiscono i nostri tre protagonisti.

L’ambiguità del tono e della storia (una commedia che nasce però da un senso di rischio e di paura) era un equilibrio delicato da tenere. I personaggi sono infatti minacciati dalla storia con la S maiuscola, una storia di un “se”, di un bivio spazio‐temporale in quegli anni probabile e possibile.
Mentre i nostri si convincono del loro amaro destino e di quello del loro paese, dovevamo mantenere anche il filo dell’ironia. Il film è sicuramente una commedia, ma è una commedia particolare. Ha come riferimento la nostra grande tradizione della commedia all’italiana, con delle componenti di novità nei suoi echi picareschi, a tratti surreali, e uno sguardo incantato più che disincantato. Questo è un film piccolo che parla di una storia piccola, divertente e svagata ma, a guardarla meglio, nasconde nel suo cuore alcuni temi importanti di quegli anni pieni di speranze e paure, e nasconde nella sua leggerezza i semi dell’Italia del 2011 e alcuni temi personali che ci accomunano tutti: la fuga, l’amicizia, l’avventura, il fare i conti con le proprie illusioni e paure, il diventare adulti. Per me è una storia meravigliosa. Ho fatto di tutto per farne il miglior film che potevo. E sono orgoglioso che sia questo il mio primo lungometraggio.

Roan Johnson