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ROAN JOHNSON "Vicenda esemplare, andava raccontata"


Dall'11 novembre uscirà nelle sale "I primi della lista", ambientato a Pisa nel '70 e tratto da una storia vera e surreale. Ce ne parla il regista.


ROAN JOHNSON
Quando ti è saltato in mente di far diventare un film questa storia incredibilmente vera?
In qualche modo è successo che sia stata la storia a cercare me. Tre anni e mezzo fa mi chiamò Marco Guelfi, il montatore del film, e mi disse che aveva un soggetto di venti pagine da farmi leggere. Erano scritte elegantemente, con un'ironia e una leggerezza non comuni e andai da lui per complimentarmi. Mi disse che l'autore era Lorenzo Lulli, al tempo della vicenda ventenne, che aveva raggiunto una maturità tale da rivedere l'accaduto con un una certa dose di autoironia.
Subito pensai che il film non saremmo mai riusciti a farlo, ambientato nel '70, con la politica di mezzo, distante da certi codici di commedia che vanno adesso, ma soprattutto senza una donna. L'idea però mi sembrava esemplare, una storia surreale accaduta in un anno che rappresenta uno spartiacque nella storia italiana, con le paure che arrivano da Piazza Fontana e al tempo stesso l'eco di gioia e spensieratezza del '68.
Mi dispiaceva di lasciarla andare così e proposi di fare un documentario, visto che i tre sono ancora vivi e su Pisa avevamo molti contatti, perciò stilammo una lista di produttori a cui mandare il progetto. Il “primo della lista” fu Carlo Degli Esposti che in men che non si dica ci richiamò, ci disse che era troppo divertente e che bisognava farne un film.

Quando un film è tratto da una storia vera, spesso accade di dover mettere mano a situazioni o eventi poco "cinematografici". E' successo anche a te?
La storia è andata esattamente come si vede nel film e anche nei passaggi più assurdi rispecchia la realtà. L'unico aspetto che è stato cambiato è il momento in cui realmente si convincono che ci sarà il colpo di Stato, che nella realtà è avvenuto quando in autostrada hanno visto la colonna di cingolati dell'esercito che andavano verso sud.
Una scena del genere da un lato ci sarebbe costata tutto il budget, dall'altro sarebbe stata troppo breve e poco cinematografica, quindi l'abbiamo spostata nell'Autogrill in una delle scene cardine, quando entrano numerosi militari e scatta la paranoia nei tre.

I veri "eroi", come detto, sono vivi. Che reazione hanno avuto nel rivedere sul grande schermo la più grande "cazzata" della loro vita?
Il Lulli e il Gismondi tante volte erano stati tentati di venire ad un pre-montato, ma volevo rischiarla tutta e tenerli all'oscuro fino alla fine, così o mi avrebbero ammazzato o sarebbero rimasti contenti.
Per fortuna le loro reazioni sono state molto positive, hanno riso come matti e alla fine c'è scappata anche la lacrimuccia, in un finale che a dirla tutta continua a commuovere anche me. Il loro giudizio per me era molto importante, soprattutto quello del Lulli e sono davvero contento di come siano andate le cose.

Nel finale ti viene la voglia di saperne di più rispetto al loro rientro a Pisa e alla reazione degli amici. Hai mai pensato di inserire questi elementi narrativi o sapevi che la storia non poteva andare oltre ?
E' una buona domanda, perchè in realtà il film sarebbe dovuto terminare con loro tre che prendono il treno, danno vita ad un altro tentativo maldestro di fuga dopo essersi camuffati e tentano di scappare dalla polizia italiana che li aspetta al confine, senza riuscirci. Poi dopo un ultimo interrogatorio, la mamma del Lulli carica in macchina anche gli altri due e ordina il totale silenzio fino a Pisa.
C'era quindi una piccola coda, ma l'idea di farli tornare e far vedere la reazione degli amici sarebbe stata troppo complessa perchè avremmo dovuto fare una presentazione più grande del loro privato. Non volevo che film fosse pretenzioso e provasse a raccontare gli anni '70, ma che si incentrasse soltanto su quella piccola storia.
Caterina D'Amico quando lesse soggetto e sceneggiatura ci consigliò di chiudere prima perchè c'era il rischio di fare due finali e anche la battuta “facciamo che non ci siamo mai visti” è un suo suggerimento, perchè le piaceva una conclusione un po alla “I soliti ignoti”. Ha avuto ragione.

In un cast molto toscano si va ad inserire Claudio Santamaria. A che punto del progetto è arrivato e come ha fatto a "pisanizzarsi"?
Lui è arrivato all'ultimissimo secondo, dopo un grande casting a Pisa e aver visto circa quattrocento ragazzi tra i 17 e i 30 anni alla ricerca di tre sconosciuti, perchè al tempo il budget era ancora più ristretto. Ne ho trovati due, Turbanti e Cioni, con loro è stato amore a prima vista, e ho sperato che il budget non lievitasse cosi tanto da dover avere interferenze che mi costringessero a sostituirli con altri attori. Erano perfetti, penso di averci visto giusto ed è uno dei lati del film di cui sono più orgoglioso.
Il Masi era il personaggio più difficile, avere un attore con una certa esperienza era per me fondamentale e poi era doppiamente giusto che il ruolo fosse coperto da uno famoso perchè in quegli anni lui a Pisa era una sorta di rock star, avendo lavorato con De Andrè e Pasolini e suonato a Parigi.
Era un po il mito, e nel film avere questi due volti sconosciuti che arrivano nella soffitta del Masi e vedono il volto di Santamaria, dava una doppia forza. Il lavoro sulla lingua l'avevo fatto con Mastandrea per l'episodio “Il terzo portiere” in “4-4-2”, ho letto, registrato e inviato tutta la sua parte in pisano. Mi ha preso per un malato di mente perchè a suo dire certe descrizioni erano fin troppo dettagliate, ma una grossa mano ce l'ha data Paolo Cioni, pisano doc che ci ha fatto da consulente.

Ti mescoli tra i registi, ma in realtà il tuo lavoro quotidiano ha a che fare con la penna, visto che sei sceneggiatore e hai scritto un romanzo con Einaudi. Dopo "I primi della lista", Roan Johnson ha capito cosa vuole fare da grande?
Purtroppo o per fortuna non ancora bene. Nasco dalla scrittura per formazione, anche prima del Centro Sperimentale, perchè è l'unica cosa di concreto che avevo fatto in passato.
Oscillo, perchè la voglia di scrivere il romanzo nacque dopo la prima esperienza da regista, una situazione da cui ero uscito con un grosso stress, perchè sotto tanti aspetti il cinema sembra una valanga. La scrittura mi permetteva grande libertà e il romanzo volevo realizzarlo per me, senza conoscere nessuno nell'editoria o avere speranze di pubblicazione.
Proprio prima dell'uscita di “Prove di felicità a Roma Est” con Einaudi, era arrivato l'ok da Rai Cinema e dalla Palomar per la regia de “I primi della lista”. Questa volta le riprese sono andate meglio perchè a tratti me le sono godute e il lavoro con gli attori e con la troupe è stato molto bello. Siamo partiti con addosso tanta tensione perchè produttivamente non era facile e devo dire grazie all'organizzatrice generale Patrizia Massa.
Durante il montaggio ho anche ripreso dei progetti di scrittura e in questo momento sento di stare a metà. Mi piacerebbe continuare per un po a fare entrambe le cose, anche se so che non è semplice e devo ritenermi già fortunato!

08/11/2011, 13:23

Antonio Capellupo