Note di regia di "Direzioni (Anni) Zero"
All’inizio ero partito con l’idea di un mediometraggio di fiction corale, un intrecciarsi di più storie parallele, che, inserite in uno snodo narrativo essenziale quanto volutamente evanescente, riuscisse a raccontare quel tipo di spaesamento e assenza di direzioni che una buona parte della mia generazione si è ritrovata a vivere in Italia nell’arco degli ultimi dieci anni, in termini di rapporto con i propri sogni, ambizioni e ricerca di una precisa identità. A un certo punto mi sembrava però che le vicende che idealmente volevo raccontare non riuscivano a delinearsi efficacemente. Così, per inesperienza o molto più probabilmente per eccesso di pretese, il progetto si era arenato.
Proprio quando ero sul punto di rinunciare del tutto all’idea di affrontare un tema così indefinito, complesso e forse persino un po’ trito, sono tornato accidentalmente in possesso del materiale video che nel 2007 girai assieme a una indie-rock band di Torino scioltasi quasi un anno dopo, i Somewhere Between. Da lì l’idea di adattare la storia di questa band misconosciuta al tema iniziale, provando così a recuperare l’idea della metafora generazionale, condotta però attraverso un linguaggio da cinema verité: votato all’improvvisazione, senza una vera e propria sceneggiatura, dove il confine tra la fiction e il più classico dei “rockcumentary” underground si facesse il più ibrido possibile, e dove trattare la storia di una band rimasta nell’anonimato come qualcosa di rilevante potesse assumere i contorni del simbolico.
Con lo sguardo curioso di chi viene “da fuori”, ho cercato così di ritrarre una Torino che, in concomitanza con le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, mi era sembrata ambientazione e specchio ideale della condizione di “reduci” che personalmente mi sento di attribuire a parte della mia generazione. In molti di noi è maturata la consapevolezza di essere appena riemersi da quello che - con ogni probabilità - è stato il decennio più incerto e confuso per essere cresciuti. Siamo usciti dall’adolescenza con la sensazione costante di vivere in un periodo di transizione e decadenza, avvertendo come irraggiungibili e inadeguate le proprie aspirazioni, in un Paese sotto molti aspetti sempre più ai margini della contemporaneità.
Per rendere la percezione di questo “spaesamento nell’illusione” ho cercato così di affidarmi al caso (e al caos) della forma libera, più che a una vera e propria sceneggiatura, lasciando che le cose accadessero spontaneamente seguendo l’improvvisazione e le sensazioni del momento. L’assenza di un testo o di un vero e proprio script ha “costretto” tutte (o quasi) le persone coinvolte nel film a muoversi su un delicato e sottile equilibrio dato, da un lato, dall’impersonare loro stessi, dall’altro, dall’essere guidati lungo un discorso che tenesse conto degli equilibri narrativi ideali che sarebbero emersi in fase di montaggio.
Proprio a causa dell’assenza di una vera sceneggiatura, sia io che l’intera troupe (ridotta sempre a un minimo di non più di sette persone) ci siamo affidati a una sorta di canovaccio, il quale veniva rivisto e riscritto di continuo a seconda degli sviluppi delle idee e dell’emergere di nuovi spunti narrativi. Questa sorta di “mappa concettuale” ci ha permesso di mantenere una prospettiva costante e ben definita circa l’alternanza degli intrecci stilistici, visivi e “narrativi” dei vari elementi e del senso a loro riconducibile una volta entrati in fase di editing video e audio. Durante questo fase della lavorazione sono stati altresì messi in discussione anche aspetti ed elementi che parevano chiari e ben definiti sin all’inizio, portandoci così a estendere il concetto di “forma libera” e improvvisazione narrativa anche all’intero lavoro di post-produzione.
Al di là del puro divertimento e della più classica accezione di “senso di avventura” derivata dal girare senza sceneggiatura, la scelta di proseguire secondo questa direzione è stata principalmente indotta dal senso di spontaneità, sincerità e umanità che volevo che emergessero tra le righe di uno stile e di un montaggio frammentati in più componenti: laddove il linguaggio del documentario invita il pubblico a nutrire un certo tipo di aspettative verso l’oggetto della narrazione (i Somewhere Between), interviene immediatamente uno stile più riconducibile alla fiction (il girovagare dei due protagonisti per Torino, il viaggio in macchina del fan, il radio speaker) che funge da vero e proprio filo conduttore verso lo stato reale delle cose.
DIREZIONI (ANNI) ZERO – a somewhere between document vuole così essere un piccolo film dedicato a tutti coloro che, durante un interminabile decennio di incertezze in un Paese sempre più ai margini della contemporaneità, hanno avuto, anche per un solo momento, il coraggio di aver creduto in un sogno. Che esso fosse poi destinato a realizzarsi o a perdersi “somewhere between” il limbo dei ricordi e quello delle illusioni, non importa. Conta averci creduto, aver morso anche solo per un istante la realtà.
Il nostro è un messaggio di speranza ed esortazione ad affermarsi, nel convincimento che la consapevolezza nata dall’aver tentato di dare una direzione e una forma ai propri sogni, è ciò che alla fine conta davvero, prima che sia troppo tardi e che la realtà ci chiami a fare i conti con il nostro futuro.
Alessandro Riva