REALITY - Garrone a metà tra commedia e dramma
“Dopo Gomorra volevo fare un film differente, cambiare registro, fare una commedia”, ha dichiarato il regista romano Matteo Garrone ai media. Dopo quattro anni dal lungometraggio di denuncia dei misfatti della camorra, che sulla Croisette aveva impressionato per rigore narrativo e forza espressiva, è ritornato a Cannes con
"Reality", commedia sul Grande Fratello ma soprattutto sul desiderio della società contemporanea italiana dell’apparire, che sforna i suoi insulsi reality televisi ammalianti per chi è alla ricerca del facile successo e di soldi. Una società basata sul futile e sul vacuo che ha accantonato quella dell’essere, basata sull’impegno serio e sul lavoro.
La frase
never give up (mai rinunciare) - di per sé di stimolo al realizzarsi a divenir qualcuno - ripetuta in modo quasi ossessionante viene distorta e snaturata nella mente di Luciano (Aniello Arena), il pescivendolo di un quartiere popolare di Napoli, un "buono giovane”, come si dice nella città partenopea, sposato con Maria (Loredana Simioli), una moglie che lavora, e con figli piccoli che adora.
Con il lavoro della pescheria, quello di sua moglie e qualche truffa (come quella dei
robottini per cucinare) riesce a campare in un quartiere pittoresco e comunitario, popolato da personaggi dai volti, dalla parlata e dalla mimica eduardiana, dove le vicende di un singolo, buone o cattive che siano, sono parte della vita anche degli altri. Dove la parola solidarietà ha ancora un senso.
La commedia brillante si fa dramma quando Luciano decide di diventare uno dei protagonisti del Grande Fratello: divenuto prigioniero di questa illusione si allontana mentalmente e anche fisicamente dalla realtà nella quale vive. Diventa un alienato, un “fissato” che non vede null’altro se non la realizzazione del suo sogno, della sua favola dell’apparire.
La perdita del contatto con la vita di questo “Pinocchio dei tempi moderni” porta allo sfascio della famiglia e alla commiserazione da parte degli amici. Unico mezzo di guarigione potrebbe essere una terapia analitica, drasticamente esclusa dalla moglie, che con lui soffre e si dispera.
Il ricorso alla religione sembra essere il mezzo per riportarlo alla vita reale, ma è proprio in un pellegrinaggio a Roma che Luciano si scolla definitivamente dalla realtà per partire per sempre, attraverso un viaggio figurativo, onirico e poetico - da realismo magico - nella crudele favola dell’apparire.
L’inizio di "Reality" è travolgente, con un piano panoramico su Napoli, città di tutti i paradossi, e la lunga e dettagliata scena di un matrimonio barocco e sopra le righe; città di gente ordinaria, in cui il pescivendolo e animatore di avvenimenti pubblici viene preso dall’irresistibile desiderio di essere anche lui "qualcuno".
Il film ha il ritmo, la leggerezza e la consistenza di una commedia brillante, peccato però che questi aspetti si sfilaccino e si volatilizzino col procedere della sceneggiatura, quando il regista - passando dal racconto corale delle vicende semidrammatiche di Luciano alla teorizzazione del suo stato mentale - appesantisce il filo narrativo del lungometraggio, rendendolo opaco e diminuendo la
pietas che lo spettatore prova nei confronti di un uomo vittima dei suoi sogni.
Aniello Arena, il bravo interprete di "Reality" non è presente a Cannes perché in prigione da circa vent’anni e beneficiato di un permesso speciale di qualche settimana solo per girare il film.
Se Arena (Luciano) e Loredana Simioli (Maria) hanno una caratterizzazione perfetta, non sono meno bravi - per la loro partecipazione da napoletani veraci - Graziella Marian (la madre di Luciano), Nello Iorio (Massimone), Nunzia Schiano (zia Nunzia), Rosaria D’Urso (zia Rosaria) e Nando Paone (Michele).
19/05/2012, 11:05
Martine Cristofoli