Note di regia di "Dell'Arte della Guerra"
Volevamo raccontare la lotta, il lavoro, la resistenza.
Volevamo creare un manuale in quattro mosse.
Individuare il nemico.
Formare un esercito.
Difendere il territorio.
Costruire una strategia.
Quattro atti.
Il nemico. Il padrone necessario e il sindacato che tratta, i partiti delle bandiere piantate sulla pelle degli operai in cassa integrazione.
L'esercito. Trent'anni di scioperi, sabotaggi, ripicche e botte prese dalla polizia. La fiducia, il rispetto, i ruoli che si definiscono dopo ogni sconfitta, vittoria, battaglia dopo battaglia.
Il territorio. La fabbrica e i suoi sotterranei, Milano e i suoi panorami interrotti. Il territorio sociale delle officine abbattute e degli operai in presidio permanente da settimane, mesi, anni. La difesa dei macchinari.
La strategia dell'esperienza e degli studi notturni, della pianificazione della guerra, della costruzione del partito degli operai combattivi. La tattica che nasce dall'odio e viene messa in pratica attraverso la lotta. La battaglia permanente.
Quattro atti, quattro soldati
Enzo è il comandante, mastica parole di potenza arcaica e ossidata, spolvera il Marx originario e organizza il Partito Operaio Informale.
Massimo è il colonnello, eroe anarchico che tiene la posizione a qualunque costo.
Luigi è l'uomo dei collegamenti, un sopravvissuto al cimitero d'amianto che erano le acciaierie Falck di Sesto San Giovanni.
Fabio è l'assaltatore, la prima linea dell'esercito, capelli lunghissimi e urla libere.
Quattro uomini, tre navate, un capannone lungo 300 metri: la fabbrica da difendere dall'alto della gru numero 70. Otto giorni e sette notti sospesi a 20 metri d'altezza. La storica Innocenti, quella della Mini Minor e della Lambretta, l'ultima fabbrica rimasta nel territorio di Milano che deve chiudere perché è stato deciso di dare spazio alle nuove palazzine dell'EXPO 2015.
Quattro atti, quattro soldati, due stagioni.
Il caldo e il freddo, il prima e il dopo, l'immediatezza dell'azione e il ragionamento sul senso della lotta. Cinema diretto e cinema di parola.
Prima sudore e urla. Poi il tempo compresso dell'analisi e del racconto.
Quattro atti, quattro soldati, due stagioni, due spazi.
Il dentro. La gru numero 70 e le decisioni da prendere rapidamente.
Il fuori. Le ore di snervante attesa sull'asfalto bollente e centinaia di sostenitori in arrivo da tutta Italia. La Milano deserta d'agosto che si scopre solidale, e la Milano fredda, dei cantieri in fibrillazione, degli scheletri dell'industria, della crisi che la conquista. Momenti che corrono paralleli, livelli narrativi diversi che incrociandosi ne intersecano un terzo: il futuro della lotta, la possibilità concreta in mano a una comunità che vuole riorganizzarsi.
Parole, analisi.
Volevamo costruire un saggio sulla lotta.
Per tutti.
“In realtà quello che ho imparato è che le idee nuove
si affermano criticando e soppiantando quelle vecchie: demolire.
Anche nel campo culturale: demolire. Anche nel campo
dell'immagine sociale: demolire, non lasciare niente in piedi.
Niente del loro impianto può funzionare.”.
Enzo Acerenza, operaio INNSE
Luca Bellino e Silvia Luzi