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Note di regia del documentario "Isqat
al Nizam - Ai Confini del Regime"


Note di regia del documentario
Nel luglio del 2011 il produttore Roberto Ruini mi chiamò per propormi di seguire la rivoluzione siriana, che era già iniziata da qualche mese ma che era pressochè ignorata dalla maggior parte dei media internazionali. L’idea era quella di recarmi sul confine turco-siriano per raccogliere testimonianze tra i ventimila profughi che in quel momento erano scappati dalla Siria. Arrivato sul confine ero convinto di avere di fronte una rivoluzione molto simile a quelle che aveva investito il mondo arabo nel 2011. Ero convinto che anche in Siria sarebbe bastato manifestare per qualche mese per far cadere Bashar al Asad e costringerlo a destituirsi. Ma così non fu. L’aria che si respirava sul confine in quei giorni era densa di paranoia e di sospetto. Nessuno si fidava di nessuno. Questo ha reso il mio lavoro molto faticoso. La cosa che mi colpì subito era l’enorme mole di clip amatoriali che arrivavano dalla Siria passando da cellulare a cellulare via bluetooth e che mostravano chiaramente la violenza usata dai militari sulla gente. Proprio quei mezzi digitali, usati in Occidente essenzialmente per diletto e divertimento, loro li adoperavano per denunciare le atrocità alle quali avevano assistito. Usavano le piccole telecamere dei cellulari proprio come una penna stilo con la quale “annotare” frammenti di realtà. Si avverava quello che auspicava Cesare Zavattini cinquanta anni fa: la democratizzazione del mezzo audiovisivo. Il gruppo di video attivisti Freedom 4567, anche loro scappati in Turchia dalla Siria perché ricercati dalla polizia segreta per la loro attività di video attivismo, si occupava di recuperare nuove immagini sul confine e di metterle in rete per denunciare quello che stava succedendo. Questa operazione era difficilmente realizzabile dalla Siria, poiché il paese non è dotato di una rete internet efficiente. Oltre all’eloquenza delle immagini, le testimonianze dirette di questi giovani dipingevano un quadro assai grave di quello che succedeva nelle strade siriane. Intanto continuavano ad arrivare sul confine turco-siriano migliaia di donne, bambini, anziani, la repressione si faceva sempre più dura.
Venivano chiusi in campi di accoglienza, ma con il divieto assoluto da parte del governo Turco di uscire. In molti erano gravemente feriti, alcuni morivano subito dopo essere arrivati negli ospedali turchi.
In gran segreto, attraverso il confine con la Turchia arrivavano anche i primi disertori dell’esercito. I racconti di questi militari, incontrati di nascosto in un’aula di una scuola chiusa per le ferie estive, tra i quali il futuro capo del Free Sirian Army, il colonnello Riad al-Asaad, svelavano le dinamiche interne all’esercito, spiegando come venivano create ad hoc le condizioni per convincere i militari a sparare sulla folla inerme che manifestava pacificamente.
La cosa che mi colpiva era la tenacia e la convinzione con la quale i dissidenti volevano continuare la linea pacifista della rivoluzione. Il pacifismo ha caratterizzato la rivoluzione siriana per molto tempo. Per oltre nove mesi la popolazione è scesa in piazza senza armi, sfidando i cecchini, i militari e i mercenari solo con il potere degli slogan. Tuttavia, dopo quasi un anno di manifestazioni pacifiche, lo scenario cambia totalmente. Sempre di più sembra una guerra civile. Lentamente inizia una lotta armata tra l’esercito libero siriano, al quale poteva aderire chiunque lo volesse, quasi come una grande brigata partigiana, e l’esercito lealista fedele al Presidente Bashar al Asad.
Considero “Isqat al Nizam” un documentario 2.0, quasi un film collettivo, per il quale ho usato molti dei materiali girati in Siria da decine di testimoni con i telefonini. Con queste immagini voglio descrivere i primi mesi della rivoluzione siriana. Dopo mesi di lotta armata e quasi ventimila morti, dopo diversi tentativi fallimentari da parte delle Nazioni Unite di risolvere il conflitto interno alla Siria, si continua a combattere nelle strade di Homs, Dara, Hama, Aleppo e Damasco.

Antonio Martino