SOTTO18 - CATERINA VA IN CITTA', Virzì e i giovani
"Caterina va in città" ha
chiuso per Paolo Virzì la prima parte di una carriera fortunata, costituendo in un certo senso la
summa dei lavori precedenti: c'è la crescita e la voglia di scoprire la propria identità di un'adolescente (come - al maschile - in "Ovosodo", di cui si riprende anche la voce fuori campo in prima persona), c'è la necessità dell'incontro con qualcuno di straniero per conoscersi meglio (in "My name is Tanino" questo ruolo era di una giovanissima Rachel McAdams, qui del vicino australiano, Zach Wallen), c'è l'ipocrisia di un "certo" essere di sinistra e di destra ma profondamente borghesi (come in "Ferie d'agosto"), la famiglia come ritorno amato-odiato (vista un po' in "Baci e abbracci"), e così via.
Un film, questo "Caterina va in città" del 2003, a cui il regista toscano farà seguire l'unicum in costume di "N - Io e Napoleone" e poi una seconda fase di carriera con profonde differenze di narrazione (da "Tutta la vita davanti" in poi).
La famiglia di Caterina, una bravissima
Alice Teghil, si trasferisce per volere paterno - un Sergio Castellitto frustrato dalla mancata carriera nonostante il suo potenziale, e che si sente chiuso e limitato nel mestiere di professore liceale - dalla provincia a Roma. Qui nessuno appare felice: la madre, Margherita Buy, continua a essere poco considerata dal marito, che non ritrova più l'ambiente mitico che ricordava di aver lasciato da giovane, e anche Caterina fatica a trovare sé stessa nel nuovo
habitat.
Godibile e divertente, forse un po' troppo retorico nel ragionamento "sinistra-destra pari sono" e nella denuncia delle "conventicole", ma
impreziosito da una ragazzina protagonista con cui è facile identificarsi nel suo spaesamento per un'età complicata in cui - se lasciati soli come a lei capita - è ancora più difficile (ri)trovarsi...
14/12/2012, 10:31
Carlo Griseri