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"Django Unchained", lo spaghetti western di Quentin Tarantino



Quentin Tarantino
Il western spaghetti di Quentin Tarantino, attualmente sui nostri schermi con gradimento e successo di pubblico, segue non solo cronologicamente, ma anche stilisticamente e ideologicamente "Bastardi senza gloria" e dovrebbe essere il secondo lungometraggio di una sua trilogia storica nella quale il quarantanovenne regista più “influente della sua generazione” di estrazione italiana da parte di padre e irlandese da parte di madre, rivisita nella sua ottica enfatica e fantasiosa fatti storici per lui importanti. Il terzo spaccato di questa trilogia sarà "Killer Crow" che filma le vicende di una compagnia di soldati di colore che combatte in Francia nel 1944. Di questo futuro lungometraggio Tarantino deve solo ultimare la sceneggiatura e poi passare all’azione.

"Django Unchained", omaggio al "Django" di Sergio Corbucci del 1966, con i suoi 165 minuti, è per ora il suo film più lungo. Esemplare nella narrazione è mirabolante, sorprendente e talvolta eccessivo ed enfatico nei dettagli e questo costituisce il piacere visivo, nonostante una certa ripulsione e un certo orrore per le carneficine virtuali e le scene di sadismo. Bisogna anche dire che i frequentatori di Tarantino sono ormai consci che la “macelleria” a torto o a ragione è parte integrale del suo cinema. E allora prendere o lasciare!

Il film non è un trattato etico sullo schiavismo, ma le avventure di Django dal riscatto da schiavo ad uomo libero. Storia movimentata, sanguinolenta e avvincente, a tratti anche melodrammatica, ricca di colpi di scena di imprevisti e di personaggi turpi in paesaggi primitivi come lo sono i molti suoi abitanti.

Siamo nel 1858, da qualche parte nel Texas. Il dottor King Schultz, di origine germanica, dalla parlata forbita e dai tratti melliflui già dentista e ora singolare cacciatore di taglie compra l’intelligente ben portante Django per farsi aiutare a ritrovare a catturare i fratelli Brittle. I due si associano e compiono fruttuose scorribande per un intero inverno. In primavera con le sciogliersi delle nevi e il cambiamento del paesaggio cambia anche il registro del film. Django Unchained si fa negriero, ma anche romantico. L’ex schiavo ora uomo libero e tiratore abile che ha cambiato completamente il look guidato dal mentore si mette alla ricerca di sua moglie Broomhilda. La giovane e attraente donna, ancora schiava, è stata venduta a Calvin Candie, uno dei più ricchi negrieri e latifondisti del Mississippi. A Candyland in uno scenario tipico del Sud e di "Via col vento" con innesto linguistico germanico e riferimenti remoti all’Anello dei Nibelunghi, la storia, ormai puro melodramma, trova la sua conclusione tra discorsi pseudoscientifici presuntuosi e barbosi alla Lombroso, sparatorie, torture, incendi e fulminei capovolgimenti di situazioni.

Una girandola pirotecnica di invenzioni filmiche, degne del miglior Tarantino ci dà un happy end esaltante per Django e la bella Broomhilda.

Django Unchained è un film ben riuscito, ma ineguale nello stile e ritmo. E’ un lungometraggio che filma con attenzione e consapevolezza situazioni e costumi di un’epoca, e di luoghi particolari, ma che non giudica o condanna. Questo lo lascia fare al pubblico.

09/02/2013, 12:16

Augusto Orsi