Note di regia del documentario "Los Tanos"
Nella storia dell’emigrazione italiana in Sud America manca un capitolo. La gran parte degli studi ha riguardato, com’è ovvio che sia, Argentina, Brasile e Uruguay, così come non mancano studiosi che si sono interessati dell’emigrazione in Venezuela, Cile e Perù. Una direttrice migratoria che ha invece avuto pochi approfondimenti è quella paraguaiana. Eppure la storia del Paraguay è segnata in modo indelebile dal contributo degli immigrati italiani. All’indomani della guerra con Brasile, Argentina e Uruguay il paese era in ginocchio. Da qui inizia una storia che arriva sino ai giorni nostri. Una storia segnata dai sacrifici e dai successi di una comunità che, sebbene quantitativamente esigua (se comparata con altre nazioni sud-americane), rappresenta un capitolo importante della diaspora italiana. Una vicenda che s’intreccia con la storia sociale di un paese che, dopo decenni di regime militare, è riuscito a darsi un assetto democratico. Una piccola storia trascurata che merita di essere raccontata.
Nell’affrontare il tema degli italiani in Paraguay ho cercato di concentrarmi sul tema dell’identità. L’approccio che ho sviluppato è centrato sul concetto di “invenzione della tradizione”, ossia quell’insieme di miti, modelli e rappresentazioni che costituiscono l’identità collettiva italo-paraguaiana. La memoria sociale dell’emigrazione è stato il mio punto d’osservazione poiché i racconti dei discendenti degli emigranti possono essere letti come il contributo individuale al progetto collettivo d’identità nazionale. Come per altre nazioni costruite sull’immigrazione, il Paraguay contemporaneo non è solo il risultato di precise vicende politiche e storiche, ma anche - e forse soprattutto – il prodotto delle scelte di vita degli emigranti. La decisione di lasciare l’Italia alla volta del Sud America è dunque il punto di partenza di un viaggio della memoria alla ricerca degli eventi e delle persone, ma anche dei simboli e dei segni, che hanno contribuito a costituire la comunità italo-paraguaiana.
Con questo lavoro ho cercato di muovermi nello spazio dei rimandi, tra passato e presente, provando a esplicitare come si possa essere “italiani” in Paraguay. Di solito, ci s’interroga su quanto i discendenti dell’emigrazione condividano con il paese che abbandonarono. Non penso che la domanda sia formulata nel modo migliore. Preferisco pensare che i modi per coltivare la propria storia migratoria siano più numerosi di quanto si possa immaginare.
Il “frugare” nella cultura italiana è la forma contemporanea dell’identificazione nazionale: se in passato i simboli nazionali erano ben definiti (l’inno, la bandiera, la storia patria, l’arte, la cucina), oggi a distanza di decenni questo repertorio è più eterogeneo. Gli appigli al proprio passato migratorio si moltiplicano originando una commistione inedita di cultura alta e cultura bassa, di presente e passato. L’elemento che mi interessa è come queste nuove forme di italianità non pongano la questione dell’autenticità, della conformità a un modello originale. Per questo la metafora del “frugare” mi sembra particolarmente evocativa: si entra nella soffitta del ricordo alla ricerca di non si sa bene cosa e se ne esce con quel che capita e con questo materiale culturale si costruisce – nuovamente, anche a distanza di generazioni - un legame con l’Italia.
Elisabetta Angelillo