Note di regia di "Salvo"
Durante un omicidio un killer di mafia dona la vista alla sorella cieca della sua vittima. Un miracolo, in un mondo dove i miracoli non accadono.
È ancora possibile?
Questa è la domanda da cui siamo partiti per dare senso alla storia di Salvo.
Entrambi siamo palermitani ed è stato naturale scegliere Palermo come mondo nel quale ambientare la storia.
Palermo è un mondo dove la libertà è pericolosa. Un mondo che ha bisogno di un tiranno, un oppressore, cosa inaccettabile ma in un certo senso comprensibile. Più misteriosamente c’è però una maggioranza che desidera essere oppressa, che ha bisogno di vivere in un perpetuo “stato di eccezione”, dove violenza e sopraffazione sono le uniche leggi. Uno stato in cui un vero libero incontro fra due esseri umani è inconcepibile.
L’incontro tra i due protagonisti provoca una frattura pericolosa, una sospensione di questo stato d’eccezione: la possibilità della libertà. Questo il miracolo di cui un mondo siffatto avrebbe più bisogno e ha più timore.
Come dare forma alla storia di Salvo?
Per evitare le secche e i rischi di un cinema troppo concettuale, abbiamo articolato la storia all’interno della forma drammaturgica classica, giocando con alcuni generi riconoscibili: con il noir prima di tutto; con la storia d’amore; con la commedia nera, attraverso la coppia di piccolo borghesi, complici della latitanza del protagonista, guardiani e carcerieri del loro mondo angusto e grottesco; infine, aiutati dai paesaggi epici e desertici dell’entroterra siciliano, anche con il western all’italiana.
Con cura abbiamo evitato, di certa fiction che la Sicilia e la tematica mafiosa utilizzano, le semplificazioni, gli stilemi, la ripetizione dei soliti stereotipi che generano ambigue mitologie e cloroformizzano le cose e la realtà.
Il tentativo è stato quello di “scloroformizzare" le cose e la realtà.
Senso e forma del film che nella cecità della protagonista si fondono. Non solo come segno concreto, tangibile della metafora tematica del film, ma anche come cardine intorno al quale costruire il rapporto fra i personaggi, fra ciò che vedono e non vedono, fra ciò che al pubblico mostriamo e ciò che può solo ascoltare. L’orecchio come parte integrante della visione.
Fabio Grassadonia e Antonio Piazza