VENEZIA 70 - La natura morta di Uberto Pasolini
Un lungo e convinto applauso, forse il più intenso di questa settantesima
Mostra del Cinema, per ringraziare
Uberto Pasolini e il cast di "
Still Life".
Già produttore di "
Full Monty", romano di nascita ed inglese di adozione, Pasolini propone un film originale in cui l'incrocio tra la solitudine e la morte riesce a far emozionare come in rare occasioni. Un'incredibile vitalità, visti i temi trattati, nasce grazie alla precisione della sceneggiatura, scritta dallo stesso regista, e dalla bravura del protagonista
Eddie Marsan, misurato, ironico e perfettamente in parte.
Marsan è un impiegato del comune che si occupa di rintracciare i parenti dei morti di cui nessuno reclama il corpo. L'uomo, timido e solitario, pensa al funerale di ognuno di loro e raccoglie in un suo album tutte le loro foto. I loro ritratti in vita, oltre ai preti e ai becchini, sono i suoi unici contatti umani, ragione del suo lavoro e scopo della sua esistenza.
Il suo ultimo caso lo porta a trovare con fatica e a conoscere parenti e amici di un uomo difficile, violento e ormai lontano da tutti, ritrovato dopo settimane nel suo misero appartamento posto per caso di fronte al suo. La propria immagine riflessa nelle finestre della vittima suggerisce che quell'uomo dimenticato da tutti potrebbe essere, per altri motivi, lui stesso.
Pasolini ha assorbito ormai da tempo le indiscusse qualità dell'industria cinematografica britannica, forse la migliore al mondo in questo momento per obiettivi e qualità totale di messa in scena. Come per il film di Frears "
Philomena", nulla è lasciato al caso e anche l'estro e il talento del regista sono veicolati e omogenei con il prodotto finale. Dalla sceneggiatura al cast, dalle musiche alla fotografia che, ad esempio, grazie a un cambiamento cromatico nel corso del film suggerisce la mutazione di percorso del protagonista.
Prodotto con
Cinecittà Studios e
Rai Cinema è decisamente il miglior film visto finora.
03/09/2013, 17:19
Stefano Amadio