Note di regia del documentario "Il Muro e la Bambina"
Della mia infanzia a La Spezia mi restano pochi ricordi, qualche foto, un giocattolo e una domanda: la schizofrenia che ha colpito mio padre dopo il divorzio con mia madre è l’effetto di un problema congenito, o di un avvenimento di cui non sono al corrente? Il dubbio che la sua malattia sia legata in qualche modo al divorzio mi ha accompagnato per tutta l’adolescenza, e la paura che si tratti d’un disturbo ereditario mi ha terrorizzata per anni. Ma a questa domanda i miei genitori non hanno mai voluto dare risposta. Oggi ho quindi deciso d’intraprendere un viaggio nel passato, e di condividerlo con la mia città di allora, come fosse una sorella. Perché mentre io vivevo il mio dramma familiare in un appartamento della sua periferia, La Spezia stava perdendo, come me, la sua identità, quella di città militare più importante in Italia. Quando sono nata, la mia città rappresentava l’orgoglio della marina italiana. Concepita come una città-caserma ha dovuto sottomettersi totalmente alla presenza dei militari sul suo territorio : tutti lavoravano nelle fabbriche di carri armati e nei cantieri navali, e i marinai erano parte integrante della sua economia. Ma dopo la caduta del muro di Berlino, La Spezia ha perso la sua importanza strategica nel Mediterraneo e si è trasformata lentamente in una grande caserma vuota. Oggi conserva nella sua geografia le tracce d’una vera e propria ferita: un lungo muraglione, quello dell’Arsenale militare, che impedisce l’accesso al mare, molti territori abbandonati e inutilizzati, l’impossibilità d’affrancarsi dal suo passato militare. Ho deciso quindi di riconquistare queste due memorie lacerate ricongiungendole, come se condividessero lo stesso destino, e di raccontare queste due storie cronologicamente parallele, attraverso un film in cui la sfera intima e quella storica interagiscono, si sfiorano, si compenetrano. In cui il mio spazio privato entra in connessione con il territorio della città, alla ricerca di corrispondenze possibili.
Silvia Staderoli