FABIO TONCELLI - Il mio Bellaria Film Festival
Dopo tre anni molto positivi alla guida del BFF lasci la direzione artistica del Festival del Cinema di Bellaria. Qual è il tuo bilancio personale?
Certamente sono molto contento, è stata un’esperienza bellissima. Quando mi era stata offerta questa possibilità, del tutto inattesa, confesso che ero molto indeciso. Invece vivere questa “deviazione” dal mio percorso di autore e regista è stato istruttivo, ho imparato tantissimo, perché mi ha obbligato a cambiare prospettiva, ad aprirmi con serietà al lavoro dei miei colleghi e nello stesso tempo a non dimenticare mai il pubblico, cercando di offrirgli ogni anno qualcosa di valido, interessante, se possibile sorprendente ed emozionante.
In questi tre anni il pubblico del BFF è tornato ad aumentare, lo spazio sui media è cresciuto sensibilmente e anche la considerazione nell’ambiente professionale si è molto consolidata. Dunque i documentari funzionano?
Secondo me non hanno mai smesso di funzionare, a patto che si facciano scelte indipendenti, in qualche caso anche coraggiose. Ci sono film documentari nel panorama internazionale che hanno la forza di un film da Oscar, tanti altri che sono pieni di talento creativo e narrativo. Noi ne abbiamo proiettati alcuni scelti accuratamente nella sezione “Vetrina internazionale”. Ecco, bisogna quindi evitare di chiudersi in una concezione restrittiva, e un po’ perdente, del cinema del reale che invece, come i recenti straordinari successi in festival importanti dimostrano, è un prezioso serbatoio di storie capaci, a certe condizioni, di affascinare il grande pubblico. E questo dovrebbe essere considerato più attentamente anche dalla televisione, e qui mi riferisco in particolare al servizio pubblico, alla Rai. Non si tratta di mandare qualche documentario a tarda ora, oppure su canali specializzati con target particolari, ma di puntare anche su prodotti di grande potenziale per un pubblico più largo.
A proposito di scelte coraggiose tu hai dato vita durante il “tuo” BFF ad una originale rassegna, Radiodoc, dedicata agli audiodocumentari…
Sì, ed è andata benissimo, davvero una sorpresa, ricordo che per l’ascolto degli inediti di Glenn Gould, che oltre al fantastico pianista che tutti conosciamo era anche un radiodocumentarista, c’era il tutto esaurito già mezz’ora prima... Devo dire comunque che praticamente tutto quello che abbiamo provato a proporre ha sempre generato una risposta molto positiva: i work-shop, gli incontri con gli autori, gli eventi speciali. Devo davvero ringraziare il pubblico degli appassionati e i cittadini di Bellaria-Igea Marina.
Quale il ricordo più bello, quello che ti resterà, di queste tre edizioni del BFF?
Non uno soltanto ma diversi momenti. Uno indimenticabile è quando ho letto la lettera che Vittorio De Seta ha inviato al pubblico, poiché all’ultimo momento il grande maestro del cinema e del documentario non se l’era sentita di affrontare il viaggio fino a Bellaria per la proiezione di Banditi a Orgosolo. Una lettera stupenda, sull’indipendenza e il talento, parole lucide e forti rivolte ai giovani che non dimenticherò mai. Poi così su due piedi mi vengono in mente le esilaranti dirette radiofoniche della trasmissione di Radiodue “Il ruggito del Coniglio” con Marco Presta ed Antonello Dose dal Teatro Astra, il Premio alla Carriera Casa Rossa a Toni Servillo, l’incontro con Ugo Gregoretti, con Enrico Vaime e infine con Daniele Vicari…e poi, a pensarci bene, anche le serate delle premiazioni. L’anno scorso una delle cose che mi ha fatto più piacere è stato vedere che in sala erano presenti quasi tutti gli autori delle opere in concorso. Mi è venuto spontaneo ringraziarli davanti a tutti, citandoli uno per uno, perché la loro partecipazione “fisica” è stato un segno di affetto davvero importante per il BFF. E poi, non dimentichiamolo, senza i registi e i loro documentari, non ci sarebbe nessun festival...
Il BFF sembra aver portato molta fortuna ai vincitori di queste tre edizioni…
Li voglio ricordare: Hebron, This is My Land di Amati e Natanson, Bad Weather di Giovanni Giommi e In Utero Sebrenica di Giuseppe Carrieri. Sì, è vero, tutti e tre hanno poi avuto un percorso molto positivo, segno che i comitati di selezione e le giurie, davvero competenti, hanno fatto buone scelte. E qui voglio dire che accanto ho avuto una piccola ma competentissima squadra, di cui io sono stato semplicemente il capitano, persone senza cui sarebbe stato impossibile mettere su il festival. Collaboratori preziosi che ringrazio con grande affetto e con cui spero presto di lavorare prima o poi di nuovo, chissà, magari al progetto di un altro festival.
Su quali progetti tuoi invece stai lavorando?
I primi due che completerò a breve sono due documentari storici. Il primo riguarda il misterioso bombardamento tedesco sul porto di Bari il 2 dicembre del 1943, un’incredibile storia segreta che ha a che fare con le armi chimiche, una minaccia che ancora oggi, 70 anni dopo, rimane purtroppo viva. Il secondo invece si occupa di come è stata raccontata la guerra con le immagini. Un affascinante e terribile percorso che comincia molto prima di quanti molti immaginano e finisce ai giorni nostri, quando la tecnologia mette in grado anche un semplice soldato di filmare la propria morte…una storia che spero farà riflettere attraverso immagini straordinarie ritrovate in archivi di mezzo mondo. Entrambi saranno trasmessi da Raitre all’interno del ciclo La Grande Storia.
Nella tua carriera hai firmato documentari di argomenti molto diversi, di avventura, storici, documentari di wildlife, insomma non sei specializzato in un genere?
Il bello di fare documentari è proprio questo, anche perché secondo me non è il genere della storia che conta, ma quanto bene si riesce a raccontar una buona storia…
Ma questo vale anche per il cinema…
Proprio così! Infatti ho un nuovo progetto che riguarda il cinema, vedremo il futuro cosa mi riserva….
11/02/2014, 09:32
La Redazione