Note di regia del documentario "Semitoni"
Quando abbiamo iniziato a pensare ad un documentario sul sistema musicale in Italia, la scelta è ricaduta immediatamente su band piccole ed indipendenti, un po’ per i nostri ascolti e background culturali, un po’ perché volevamo un rapporto diverso con gli artisti che avremmo poi scelto. Quello che si è creato con gli artisti durante le riprese è stato un rapporto di completo scambio, di desiderio di mostrare la fatica, le intenzioni e le risorse che ogni artista mette per le sue passioni. Mentre realizzavamo il documentario, totalmente autoprodotto con tante difficoltà, le loro esperienze raccontate, entravano in un rapporto simbiotico e speculare con noi autori. I loro universi e passioni raccontanti, non erano per tanti versi lontani da noi che realizzavamo il documentario, questo soprattutto per una questione di attitudine. Il processo d’identificazione che si crea tra spettatore e protagonisti di un film, nel nostro caso, è nato già sul set tra noi che riprendevamo e loro che si raccontavano. Un’empatia naturale che faceva capire, a noi come a loro, di essere sulla stessa barca anzi zattera che naviga nell’ obsoleta cultura italiana istituzionale e nel cinico mondo delle multinazionali delle arti.
Questo contesto emerge nel documentario, per la spontaneità dei loro atteggiamenti e per i temi, anche fortemente personali. Non si è voluto filtrare volontariamente tante espressioni e idee proprio per mantenere una genuinità appartenente ad un mondo che cerca nella musica una libertà dalle gabbie della società.
La struttura narrativa è ispirata al semitono, da qui questo titolo, piccole differenze tra le band che tutto sommato non differiscono molto tra loro per un comune “sentire” la musica, i contesti in cui vivono e creano.
Il semitono, il più piccolo intervallo tonale in una partitura, elemento quasi impercettibile ma allo stesso tempo essenziale, diventa simbolo e metafora di questi aspetti.
Michele Ricchetti e
Shapoor Ebrahimi