Note di regia di "Io voglio le ali bianche"
Cinema di relazione, cinema di terapia. E’ così che mi sento di descrivere la realizzazione di questo documentario. Documentario come spazio del possibile, dell’impossibile e del profondamente celato. Uno spazio che si apre come un’altra dimensione rispetto alla ‘realta’’ che percepivo quotidianamente. Al principio mi sono tuffata in questa esperienza incamminandomi verso una direzione della storia che e’ stata poi stravolta dagli eventi. Aggrappata saldamente alla cornice della parola ‘documentario’, mi sono permessa di seguire impulsi nuovi e mi sono lasciata andare alle loro indicazioni. la realta’ che credevo di vedere e la direzione che credevo di seguire si è dissolta strada facendo nell’alchimia di questa dimensione sconosciuta, in cui ho incontrato per la prima volta non solo alessandra ma, alla fine, anche chiara.
E così la sua storia e’ diventata la nostra, le sue paure eco delle mie, o viceversa, e forse, spero, anche quelle di tante persone che hanno difficolta’ ad accettare e vivere pienamente la loro parte creativa. Lo chiamo cinema di relazione, cinema di terapia, perche’ davvero non saprei dire dove inizia e finisce il documentario e dove la vita vera. Anzi, il documentario in se’ e’ diventato un artificio narrativo attraverso il quale aprire la porta su nuove esperienze che sono poi diventate parte fondamentale del racconto filmico, esperienze al fondo delle quali avrei poi incontrato l’essenza delle persone ritratte nel film. E così che si passa da un vhs sporco usato per riannodare i fili tra il passato remoto e il presente nel quale l’esperienza filmica mi stava catapultando, a una camera decisa e pulita quando invece mi mettevo sulla scia della traccia narrativa prestabilita, a una camera a mano traballante e rosso fuoco quando invece mi lasciavo trasportare dal corso di impulsi nuovi, a un super 8 malinconico e luminoso che cerca di impregnarsi della stessa materia dei sogni.
Chiara Zilli