Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
!Xš‚‰

MILANO FF 19 - Intervista a Enrico Maisto


Il giovane regista ha presentato a Milano il documentario "Comandande"


MILANO FF 19 - Intervista a Enrico Maisto
Come mai questa storia così personale per il primo prodotto 'lungo'? Cosa l'ha guidata nella scelta?

In realtà non è stata una vera e propria scelta. Il progetto iniziale, infatti, doveva essere tutt'altro: un film a metà fra documentario e finzione, incentrato su Felice, personaggio della mia infanzia.
Dopo alcuni tentativi fallimentari è venuto fuori questo racconto a proposito della Lotta Armata e di un possibile piano per uccidere mio padre.
La storia a quel punto mi è esplosa fra le mani e non è stato facile capire in che modo riposizionarsi rispetto a quanto stava emergendo. C'erano tante resistenze da parte mia di fronte alla possibilità di filmare mio padre.

Ci sono voluti quasi cinque anni per concludere il lavoro: perché così tanto tempo?

La durata della lavorazione è stata dovuta anche a questa mia riluttanza, oltre che alla scarsissima confidenza con il linguaggio documentario. È stato necessario un lungo processo di elaborazione e la difficoltà maggiore è stata forse quella di accettare proprio il carattere fisiologicamente incerto e mutevole di questa particolare modalità del cinema. Anche i vicoli ciechi erano in qualche modo una parte fondamentale del progetto, così come le attese, gli stalli e le riscritture.

In tanti anni avrà raccolto molto materiale, come lo ha selezionato?

Il materiale raccolto negli anni non è quantitativamente così significativo, sicuramente ho girato di più con Felice, perché trovavo il suo personaggio estremamente difficile da filmare.
Il lavoro con mio padre è stato molto più mirato: una volta preso atto del suo inevitabile ingresso nel film, tutto si è risolto in poche settimane. In ogni caso la scelta dei materiali si è rivelata particolarmente problematica perché mi sono reso conto della delicatezza degli equilibri, legati soprattutto alle parole che si erano accumulate nel corso degli anni.
Bastava una parola in più o in meno per cambiare di segno la percezione del personaggio. In sede di montaggio abbiamo passato intere giornate a discutere se lasciare o meno anche soltanto una frase. Sentivo e sento tutt'ora una grossa responsabilità verso i due protagonisti.
Ho cercato di fare del mio meglio per non tradirli. Ma, lo dico, sinceramente, ancora non so se ci sono riuscito fino in fondo. D'altra parte il film lavora proprio sulla difficoltà di tracciare dei contorni chiari e definiti.

A chi si rivolge principalmente il suo lavoro? E' una storia personale ma anche una riflessione pubblica...

Credo ci siano più livelli a seconda delle esperienze di chi guarda. Il piano che interessa a me è innanzi tutto quello umano: un figlio che rivolge domande al proprio padre e a un personaggio della propria infanzia per capire qualcosa di un loro passato che non conosceva.
Un andamento molto semplice, ma anche universale. Certo il piano umano interseca quello storico e politico, ma sempre a partire da un ambito molto circoscritto, personale. Un piccolo tassello che si aggiunge al vasto e difficile racconto di quell'epoca.
I percorsi all'interno della struttura del film sono aperti. Fino ad ora ho trovato letture molto eterogenee tra loro.

E ora? Quali i prossimi progetti?

Nessuna strada certa per ora. L'idea sarebbe quella di provare a portare il film anche fuori dall'Italia, sempre nel circuito dei festival. Vedremo!
I prossimi progetti sono tanti. La scorsa primavera ho iniziato le riprese di un nuovo documentario, con un taglio decisamente meno personale. E poi c'è un lungometraggio di finzione a cui sono molto legato e sul quale credo che tornerò a lavorare…

12/09/2014, 12:00

Carlo Griseri