LUCCA FILM FESTIVAL 10 - Incontro con David Lynch
Amato dagli accademici, venerato da almeno due generazioni di cinefili, capace di folgorare e porre interrogativi anche ai meno avvezzi alla settima arte.
David Lynch appartiene a quella categoria di autori intellettualmente e artisticamente indipendenti, capaci di farsi influenzare unicamente da se stessi, dalle proprie idee, dai propri sogni, dai propri incubi. Un autore a tutto tondo che in quasi cinquant'anni di carriera ha saputo spaziare nel mondo dell'arte passando dalla pittura al cinema, dalla fotografia alla musica, mantenendo sempre quell'originalità cristallina che solo a pochi eletti permette di vedere il proprio nome tramutarsi in aggettivo, e di veder così definire un'opera come "lynchana".
Ospite d'onore della X edizione del
Lucca Film Festival, che lo ha omaggiato attraverso proiezioni, mostre e videoistallazioni, Lynch ha incontrato il pubblico toscano in un evento incentrato sul suo cinema, concedensosi alle numerose domande e curiosità di una folla che lo ha accolto alla stregua di una rock star.
In principio ci fu la pittura, amore di gioventù, ma quando un giorno un dipinto gli parlò iniziò per lui un nuovo percorso: "
Volevo solo fare il pittore, ma quando ebbi l'impressione di veder muovere un mio quadro, accompagnato dal rumore del vento, fu come assistere alla nascita di un film, il mio primo film. Poco dopo girai il mio primo cortometraggio in stop-motion, e da li nacque tutto".
Tutto per Lynch nasce da un'idea, quella voce che ti parla e ti suggerisce come muoverti, ma "
bisogna esserle fedeli, perché le buone idee sono rare, sono un tesoro. Sta a te trovare il giusto modo di svilupparle, se in modo astratto o concreto, in digitale o in pellicola, ma sempre credendo fermamente in quell'idea".
Una carriera ricca di successi che rischiò di terminare già al terzo film per colpa di quel Dino De Laurentiis che gli negò il tanto richiesto controllo sul montaggio finale per "Dune", ma che due anni dopo gli permise di averlo per "Velluto Blu".
La libertà creativa è alla base di qualsiasi progetto intrapreso dal poliedrico artista americano, che ha saputo rendere perfettamente l'idea del diabolico gioco cui l'arte ti mette davanti: "
Un fallimento può essere qualcosa di positivo, perché se sai superarlo, sapendo che non puoi perdere più di quanto tu abbia già perso, ti rendi conto del vero valore della libertà. Allo stesso tempo la libertà può essere un incubo, perché hai la sensazione di non poter mai cadere, ti costringe, e alla lunga ti porta ad aver paura del fallimento".
Più che un incontro sull'arte, una lezione sul riuscire ad essere artista, soprattutto oggi, nel pieno di un continuo bombardamento di immagini e suoni che annebbiano i cervelli privandoli della possibilità di dar vita, e spazio, alle buone idee.
29/09/2014, 21:00
Antonio Capellupo