FESTIVAL DI ROMA 9 - "Last Summer": un dramma sconvolgente
"
Last Summer", opera prima di
Leonardo Guerra Seràgnoli, è un dramma psicologico ambientato su una lussuosa barca a vela, ormeggiata in un mare azzurro e misterioso. Pregevole per il minimalismo delle inquadrature e la geometria della composizione, affascina soprattutto per la limpidezza e la purezza, realizzato con molta attenzione alle sfumature ed ai dettagli dei personaggi.
Naomi è una giovane donna giapponese che deve dire addio al proprio figlio di sei anni, di cui ha perso la custodia, e arriva a bordo dello yacht della famiglia dell'ex marito, un uomo occidentale. Ma non si tratta di una vacanza, di un incontro felice e spensierato. La donna ha su di sé gli occhi puntati dell'equipaggio, che ha il preciso ordine di tenerla sotto controllo. La barca diventa una vera e propia prigione di lusso. Naomi è servita e riverita, ha ogni attenzione e cura, ma deve convivere con il silenzio e l'odio di suo figlio, il piccolo Ken.
Tutto il film si svolge nell'angusto spazio della bellissima barca, sottocoperta, quasi fosse un'astronave asettica e pulitissima e il ponte in legno, che alle volte sembra trasformarsi in un palcoscenico, dove si inscena questa tragedia dal sapore orientale.
E' difficile descrivere un film di questo tipo, che risente di influenze extra - cinematografiche, come il teatro. Affascina il contrasto e la contaminazione del paesaggio e della natura con la psicologia dei personaggi. A tratti la comunicazione tra il piccolo Ken e la triste e infelice madre Naomi sembra potersi realizzare, grazie alla bellezza del vento e all'energia immensa che sprigiona una navigazione a vela; i corpi si aprono, madre e figlio si sorridono, il rumore del mare sembra cullare tutti i personaggi verso una fusione gioiosa tra essere umano e cosmo. La donna comincia a parlare al figlio in giapponese, escono i ricordi della sua infanzia, felice e lontana nal "paese del sol levante": sono immagini impressioniste, quasi pittoriche che tranquillizzano il bambino e lo riportano piano piano verso il suo affetto negato, da un evento che non viene mai dichiarato, ma solo sussurrato. I dialoghi sono sempre ben dosati e mai esasperati, il terribile dramma è in ombra, raccontato dai corpi e dai volti.
Bravi gli attori che interpretano l'equipaggio: delle sentinelle, dei carcerieri con ma con un'umanità immensa. Soffrono anche loro per la terribile storia della madre e del bambino, cercano di rimanere esterni alla vicenda, ma finiscono inevitabilmente per caderci dentro e anche a loro i nervi finiscono per cedere.
Scritto dal regista insieme a
Banana Yoshimoto e a
Igor "Igort" Tuveri, risplende in mezzo alle ultime produzione di film italiani come una bella, semplice, onda di Hokusai. Assolutamente da vedere e soprattutto da ascoltare, immerso tra "
Il coltello nell'acqua di Polanski" e "
Le Mystère Koumiko" di Chris Marker.
17/10/2014, 15:58
Duccio Ricciardelli