MARCELLO MAZZARELLA - "Io e Biagio non siamo tanto diversi"
Una lunga carriera fatta di sacrifici, dedizione nel lavoro e tante collaborazioni con grandi autori del cinema italiano come
Giuseppe Tornatore, Gabriele Salvatores e Marco Risi.
Che si ritrovi a fare il comprimario o il protagonista, che vesta i panni del podestà fascista o del buon sindacalista vittima della mafia,
Marcello Mazzarella riesce sempre ad essere un valore aggiunto per il film che interpreta, con quella faccia da cinema e quella carica emotiva che lo rendono un interessante "animale da palcoscenico".
L'ultimo impegno per il grande schermo, che segna la sesta collaborazione con il regista Pasquale Scimeca, ha rappresentato forse la sfida interpretativa più dura di sempre. L'attore ericino ci racconta come è diventato Fra Biagio Conte nel film "
Biagio" in concorso nell'ultima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.
Nella tua lunga carriera ti sei ritrovato a dare vita a personaggi dalle tante sfaccettature, ma questa è stata forse la prova più difficile. Ci racconti quanto tempo ti ci è voluto per vestire i panni di Biagio e quanto è stato difficile calarsi nel ruolo in modo convincente?
E' stato un approccio più complesso delle altre volte, perché in questo caso la distanza tra me e il personaggio non era così ampia e marcata. Per trovare la giusta chiave per la messa in scena sono partito dalle sue esperienze personali e le ho reinterpretate attingendo da quelle mie. Ci accomunano molto la continua ricerca di alcuni segni nella natura e l'aver intrapreso spesso delle scelte radicali, e ciò che ne viene fuori è un'identificazione quasi completa.
Importante elemento nella vita di Biagio è il cane Libero. Come hai lavorato in sua presenza e che tipo di preparazione c'è stata per costruire un rapporto di fedeltà credibile anche a cinema?
Il cane scelto per il film è un trovatello che abbiamo rintracciato in un canile di Palermo. Un mese prima delle riprese l'ho portato a casa con me e giocandoci spesso e dandogli molte attenzioni ho cercato di guadagnare la sua fiducia, anche perché quando lo abbiamo trovato era ancora impaurito. Ho chiesto poi al regista di avere una roulotte nei pressi del set, perchè era importante che Libero mi sentisse vicino durante le riprese. Anche questa rientrava tra le sfide importanti del film, riuscire a entrare a contatto con la natura e con i suoi esseri.
"Biagio" è un film che hai fortemente voluto realizzare, per mostrare al mondo intero le scelte coraggiose di Biagio Conte, e per la prima volta hai lavorato anche come sceneggiatore. Come ti sei ritrovato in questo nuovo ruolo e in futuro è possibile aspettarsi ancora un Marcello Mazzarella sceneggiatore?
Spesso molti attori non appaiono nell'elenco degli sceneggiatori pur influendo moltissimo sulla sceneggiatura con loro idee e battute che scrivono o riscrivono una scena direttamente sul set. Ho fortemente voluto questo film perchè mi permetteva prima di tutto di ricordare a me stesso da dove venivo, gli inizi con momenti di emarginazione e povertà, e la figura di Biagio, sempre pronto ad aiutare gli altri a ritrovarsi e a dare fiducia, mi ha ricordato Raoul Ruiz che offrendomi la possibilità di interpretare Marcel Proust in "Il tempo ritrovato" diede una svolta alla mia carriera. Ecco, volevo ricordare a me stesso che esiste sempre una provvidenza, qualcosa di magico che può aiutarti a ripartire. Ho sempre pensato che la sceneggiatura, assieme al montaggio, rappresenti la colonna portante di un film, quel punto di riferimento in assenza del quale non vai da nessuna parte e in questo momento sto lavorando alla scrittura di alcuni cortometraggi. Mi piacerebbe in futuro proseguire anche in questo ambito creativo.
Un progetto simile si sarebbe prestato molto bene anche al cinema documentario, ma voi avete optato per una linea poetica del cinema di finzione. Cosa vi ha portato ad optare per la fiction rispetto al cinema del reale?
Quella di Biagio è una vita così ricca che un solo film non basta per raccontarla. L'opera è solo uno stimolo a riflettere sulle scelte di vita di un uomo che stava bene e ha abbandonato tutto per mettersi a disposizione del prossimo. Pasquale ha realizzato un film con elementi riconoscibili del suo cinema, un dipinto poetico che prende spunto dalla realtà per suggerire nel tempo una lettura personale. A volte il documentario si ferma sulla sola fotografia del reale lasciando poco spazio all'interpretazione dell'opera d'arte e al processo d'immedesimazione. Magari il nostro film darà lo spunto a qualche documentarista per raccontare con un'altra chiave di lettura la storia di Biagio. Speriamo possa accadere!
La vicenda di Biagio ti ha toccato così nel profondo che qualche mese fa hai voluto lanciare un messaggio ricco di emozione e rabbia verso quelle istituzioni colpevoli di essersi disinteressate al destino della Missione Speranza e Carità. Durante questo tempo sei riuscito a darti le risposte che cercavi o sei ancora incredulo davanti all'accaduto?
Sono incredulo davanti a ciò che è accaduto, perchè ormai in un solo giorno si è capaci di distruggere anni di storia. Quella di Biagio è una cittadella del povero con una campagna in cui si coltiva la farina e in cui non viene chiesto niente a nessuno. Biagio non ha introiti da questa attività benefica e nonostante ciò gli enti pubblici invece di venire incontro al suo lavoro gli chiedono il pagamento di decine di migliaia di euro. Non si può tassare la povertà e soprattutto non si può spremere chi non ha niente.
Uno sguardo al futuro: cosa bolle nella tua pentola lavorativa e quando potremo rivederti sul grande e piccolo schermo?
In questo momento nonostante gli sforzi e l'impegno nel lavoro non ho delle proposte. In ogni caso mi dedico molto allo studio di lingue differenti ragionando anche su possibili altre collocazioni. Sto lavorando poi alla scrittura di un soggetto per un lungometraggio che vorrei dirigere, perchè sento la necessità di passare dietro alla macchina da presa. Ho sempre apprezzato il ruolo dell'attore, ma quando ti accorgi che su tanti film sono davvero pochi i ruoli che ami per davvero, a quel punto ti scatta in testa l'idea di scrivere tu storie e personaggi che vorresti raccontare. Penso a bravi attori come Ivano De Matteo o Rocco Papaleo che sono diventati bravi registi perchè sentivano l'esigenza di raccontare qualcosa che il mercato non offriva. Questo è un lavoro nobile, non è solo spettacolo. In passato la figura dell'attore era molto complessa, ma nel tempo è stata molto svuotata, fino ad arrivare a una cosa tipo "la scena è pronta, chiamate gli attori". Ecco, devo dire che in Italia fare questo mestiere è spesso mortificante, a differenza di altri paesi in cui c'è un rispetto maggiore.
16/11/2014, 16:33
Antonio Capellupo