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METACINEMA - Lynch, Cronenberg e De Palma


Il saggio di Chiara Nucera è un'analisi del cinema contemporaneo attraverso questi autori, creatori di una perfetta illusione del mondo


METACINEMA -  Lynch, Cronenberg e De Palma
La copertina del saggio di Chiara Nucera
"Una moltitudine di specchi nei quali ci riflettiamo, di soglie varcate che ci trasportano in altre dimensioni, come quella che Alice attraversa per arrivare nel Paese delle Meraviglie: questo è il cinema!"

Questo il concetto alla base di "Il metacinema nelle opere di Lynch, Cronenberg, De Palma" firmato da Chiara Nucera e uscito nel novembre scorso per la collana Spaghetti Horror edita da EUS, Edizioni Umanistiche Scientifiche. Il saggio si presenta come un'analisi sul cinema contemporaneo, traendo spunto da alcuni autori specifici, cavalcando con particolare attenzione il periodo che va dall'inizio degli anni '80 ai primi anni del nuovo millennio, fatta eccezione per alcune mirate alcune digressioni, come quella su Alfred Hitchcock, considerato dall'autrice epigono di un certo tipo di approccio stilistico.

Il filo conduttore di tutto il lavoro è il voler dimostrare come la settima arte sia nata attraverso la volontà di edificare, per mezzo di colore, suono e profondità, una perfetta illusione del mondo. Questa illusione deve necessariamente essere valida, una forma di immersione tale da garantire una partecipazione quasi attiva con ciò che ci scorre davanti agli occhi, entrando in una sorta di interazione con le immagini. Un tipo di sguardo originale che ci conduce in un universo determinato da due tipi di realtà, l’una complementare all’altra: una superficiale, oggettiva e tangibile, quella dell’evidenza dei fatti, ed un’altra che nasce da riflessioni sul cinema, sulle immagini impresse sulla pellicola, molto simili a sogni ma non per questo vacue. Sembra non esserci più alcuna distinzione effettiva tra ciò che è dentro e ciò che è fuori dallo schermo, in un non luogo, dove le due entità tendono a confondersi, ad identificarsi, ad occupare ognuna lo spazio dell’altra, tanto da perdersi non capendo più cosa faccia parte della realtà e cosa rappresenti invece la finzione scenica.

Nell'analisi vi è una certa attenzione alla filosofia classica e al teatro greco delle origini, che sono visti come chiave di lettura e base del contemporaneo metodo narrativo.
Un fil rouge che lega le filmografie di questi singolari autori, passando anche per le teorie di Freud su perturbante e sogno e gli studi del suo allievo Rank sul doppelgänger.

Da tutto ciò scaturisce il concetto di metacinema (quella curiosa parola nel titolo),ovvero una particolare rappresentazione cinematografica che ha per oggetto essa stessa, o nella quale vengono inseriti elementi che rievocano fortemente una messa in scena fittizia dell'azione che si sta svolgendo: un dualismo necessario "poichè la vita e lo stesso cinema, che ne è derivazione, ne sono caratterizzati".
Emblematico è l'esempio del Club Silencio, raccontato da Lynch in "Mulholland Drive", dove le due protagoniste assistono (e noi con loro) al palesarsi del vero, unico, mistero: quello della rappresentazione.

Un presentatore dall’aspetto luciferino introduce un’orchestra invisibile: “ecco il clarinetto”, e noi lo sentiamo, ma non c’è realmente, “it’s a tape”, è una registrazione, un inganno, un’illusione, l’ultima, prima che si accendano le luci in sala.

03/12/2014, 10:07