Note di regia di "Una Bella Giornata
- Luoghi e Miti di Ferito a Morte"
Era da tempo, dall’inizio della mia amicizia con Maurizio Fiume, nata ai tempi del film e io ti Seguo, che parlavamo e discutevamo intorno al romanzo Ferito a Morte. Tutti e due, al tempo, emigrati a Roma, e tutti e due che lavoravamo nell’industria culturale, proprio come Massimo De Luca, il protagonista del romanzo, ma sessant’anni dopo. Sessant’anni, tre generazioni dopo, e nulla era mutato rispetto a Ferito a Morte, la stessa Napoli, la stessa sensazione di perdita di tempo, gli stessi ambienti borghesi ripiegati su se stessi e sui loro miti, la stessa difficoltà di trovare un lavoro normale, un lavoro senza strizzatina d’occhio ma che rispettasse formazione e inclinazione di ciascuno. La stessa vaga percezione di qualcosa di immutabile e nello stesso tempo inevitabile che incombeva sul destino della città e su milioni di abitanti. Insomma anche a noi Ferito a Morte aveva fatto l’effetto di una stilettata al cuore, ci aveva folgorato, come a coloro che lo avevano letto agli inizi degli anni ’60. Lo leggemmo e lo rileggemmo, più e più volte, e di lì leggemmo e studiammo gran parte dell’Opera di La Capria, approfondendo, in lunghe discussioni tra di noi, i temi della bella giornata, della Natura e della Storia, della yubris e della nemesis, della classe digerente. Fummo folgorati dal libro, come tutta una generazione, perché La Capria ha colto come nessun altro, e come nessun altro dopo di lui, l’Anima, l’essenza profonda e il destino di una città e dei suoi abitanti. Conoscevamo bene, intimamente, visceralmente i temi trattati e i dilemmi posti dal romanzo. Avevamo anche noi letto pressappoco gli stessi libri di Massimo durante i brevi ma noiosi e piovosi inverni partenopei, e conoscevamo i Principi delle Apparenze, i pranzi domenicali in famiglia, le estati a Capri, la sensazione di vivere un tempo irripetibile e unico. Avevamo avuto razionalmente la stessa voglia di Massimo di scappare, ma anche gli stessi dubbi, la lacerante tragica consapevolezza di lasciare un tempo e un luogo che non sarebbe mai più stato per noi lo stesso, un’ora e un qui che sarebbe stato ancor più rimpianto proprio per la lucidità con cui si riconoscevano, senza errore, una bellezza e un’unicità vissute appieno, fino in fondo; la sicurezza di non aver potuto ritrovare mai più la nostra apparentemente eterna bella giornata. La grandezza del romanzo di La Capria è anche questa, di aver espresso pensieri, dubbi, sensazioni ed emozioni di tante generazioni, e per questo ci meravigliavamo di come non se ne parlasse abbastanza, proprio a Napoli, proprio dove c’era ancora bisogno di idee e spunti per ritrovare un’idea di città, irrisolta, problematica, ma almeno ancora e ancora dibattuta e discussa. Così, ci venne l’idea di fare un documentario sul libro per rendergli omaggio, sperando che avremmo contribuito a farlo conoscere ancora un po’ di più. Abbiamo proposto l’idea allo stesso Raffaele La Capria e a Silvio Perrella, che è il suo critico amico di lunga data, e ci hanno incoraggiato ad andare avanti. Dopo aver presentato il progetto al MIBACT ed aver ottenuto la qualifica di Interesse Culturale Nazionale siamo approdati alla eskimo, una factory produttiva che fa capo a Dario Formisano, che ci ha messo a disposizione una troupe di giovani professionisti e la partecipazione come voce narrante di Roberto De Francesco e di lì, a piccoli passi abbiamo finito il documentario. Tra la genesi dell’opera e il film finito abbiamo calcolato che ci sono voluti quattro anni, ma la nostra tenacia, il supporto ricevuto nell’ambiente e il favor con cui lo stesso La Capria ha partecipato al progetto ci hanno tenuti concentrati ed entusiasti fino alla fine. Speriamo, con questo documentario su un grande autore e su un grande romanzo, di aver fatto un prodotto civile sulla nostra città e su un pezzo di mondo.
Giuseppe Grispello