Note di regia di "Officium"
“Officium” è un corto che può e vuole essere letto a più livelli: il primo, il più immediato, è quello che racconta come un piccolo ed apparentemente insignificante evento (uno scambio di battute tra 4 amici che osservano il passaggio di una bella ragazza) possa scatenare allo sguardo di tre donne osservatrici ricordi, desideri, paure e prese di coscienza ricchi invece di significati differenti per ciascuna di esse. Il secondo livello, meno immediato ma reso esplicito dalla costante ripetizione della scena che ha per protagonisti i ragazzi, è quello del confronto tra un immaginario maschile molto povero, immutabile e quasi primitivo costruito com’è sulle dinamiche del branco e della riduzione dei corpi ad oggetti (e non soggetti) di desiderio e la ricchezza dell’immaginario femminile, qui ritratto invece come animato non solo dal desiderio ma anche dalle emozioni, dai ricordi, dalle esperienze pregresse e persino da una coscienza che potremmo definire “politica”. Mentre i 4 ragazzi sembrano essere una sola persona, le 3 donne invece appaiono come portatrici di prospettive differenti e persino distanti tra loro, pur dinanzi ad un accadimento assolutamente identico.
Anche il titolo “Officium” (un omaggio al bellissimo album di Jan Garbarek con l’Hillard Ensemble) si presta ad una lettura duplice: una molto vicina al senso originario dell’album, quella delle celebrazione dei defunti, legata alla cristallizzazione del desiderio maschile; ed una invece opposta, quella della celebrazione di desideri vivi, legata alle storie delle 3 protagoniste (e persino della quarta…). Del resto questa doppia lettura è anch’essa un omaggio al senso più profondo del disco (i cui titoli tornano anche nei 3 episodi del corto), dato che la rilettura in chiave jazzistica di un repertorio di musica sacra che dal medioevo arriva all’800 non è altro che un tentativo di dimostrare la vitalità di composizioni e di linguaggi appartenenti ad un passato molto remoto.
“Officium” è anche un gioco di omaggi a riferimenti cinematografici (da Bertolucci al bianco e nero della nascita del cinema) e musicali (da Zazie all’Officium Defunctorum ogni nota è strettamente legata ai singoli momenti del racconto) e letterari: non solo per il ricorso alle poesie di una delle protagoniste, Carla Golisano, ma anche per l’esplicito richiamo al verso “una rosa è una rosa è una rosa è una rosa” di Gertrude Stein. Richiamo esplicitato nel nome delle protagoniste, che si chiamano tutte Rosa, e che è un tributo alla Stein sia nella sua attenzione alla natura vera delle cose al di là di ogni simbolismo (nel caso del nostro corto è la natura delle relazioni tra uomini e donne e tra uomini e tra donne) sia nella sua convinzione che qualunque sia l’oggetto osservato da un artista, composto smontato e ricomposto dentro l’opera d’arte l’oggetto rappresentato non è comunque più l’oggetto reale (nel nostro corto ciò vuole esprimere il concetto che mettere in scena 4 ragazzi e 4 donne non può comunque diventare un tentativo di rappresentare “L’Uomo” o “La Donna”, ma semplicemente la visione che gli autori hanno di quegli specifici personaggi).
Infine, ogni singolo episodio vuole naturalmente raccontare una piccola storia con accenti differenti: il desiderio vissuto senza tabù e con pieno protagonismo nell’episodio della prima Rosa; il proprio desiderio a confronto con le aspettative sociali nell’episodio della seconda Rosa, che è una donna transessuale; il desiderio legato al ricordo di un passato in cui la giovinezza coincideva col benessere e con la spensieratezza, nell’episodio della terza Rosa, la più anziana. Ed anche il prologo e l’epilogo accennano a due storie a sé stanti: il sentirsi obbligati ad esprimere il proprio desiderio in chiave quasi animalesca quando ci si confronta tra ragazzi e l’allusione ad un desiderio che è invece impossibile da comprendere per questi stessi ragazzi, cioè quello che lega tra loro due donne (la ragazza oggetto delle attenzioni e delle battute a sfondo sessuale del gruppetto di adolescenti è infatti attesa dietro l’angolo dalla sua compagna… ed è quindi del tutto estranea alla narrazione che di lei fanno i ragazzi col loro scambio di battute stereotipate). Ma in tutti e 3 gli episodi, così come nel prologo e nell’epilogo, viene comunque rispettata una costante: quella della messa in scena di corpi non stereotipati, che rappresentino le differenti forme che può assumere la bellezza; perché ogni corpo può contenere desideri pronti ad esplodere e può a sua volta far esplodere desideri, a prescindere dalle caratteristiche fisiche, dall’età, dal sesso.
Per chiudere, il corto non vuole essere il racconto di un universo femminile fatto da uomini (operazione in sé scorretta se non addirittura impossibile) ma una riflessione anche autocritica sullo sguardo maschile e sul suo rapporto con quello femminile: in questo senso potremmo addirittura dire che persino i titoli degli episodi e l’apparente centralità delle protagoniste siano in realtà un gioco di finzioni e che il reale oggetto di attenzione siano i 4 ragazzi e la relazione tra loro e che, in fondo, la reiterazione della scena iniziale (di volta in volta filtrata dallo sguardo di una donna differente) serva a svelare che persino nella apparente immobilità di un desiderio sessuale quasi primitivo possono nascondersi misteri e potenzialità più ricche e meno nette di quanto lasci intendere la banalità delle parole che gli uomini usano per parlare tra loro delle donne.
Giuseppe Carleo – Luigi Carollo