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LE MANI SULLA CITTA' - L'analisi di Roberto Saviano


In un'intervista contenuta nella nuova edizione del dvd edito da CG Home Video, lo scrittore parla del capolavoro di Francesco Rosi.


LE MANI SULLA CITTA' - L'analisi di Roberto Saviano
""Le mani sulla città?" Un capolavoro trasversale. Non abbandona il lato estetico, narrativo, fotografico del racconto. Un film così è unico nel nostro Paese. Un trattato antropologico mai più realizzato. Una fenomenologia del potere, un’architettura del consenso, un sismografo della negoziazione".

Parole di Roberto Saviano rilasciate in un’intervista che contenuta negli extra del nuovissimo dvd (CG Home Video) del film-caposaldo nella cinematografia di Francesco Rosi.

"Le mani sulla città - continua Saviano – è un punto di non ritorno, una volta visto non puoi tornare indietro: lo sguardo sulla città diventa differente. La Napoli che racconta Rosi è una Napoli ferita dalla guerra, che è un grande rimosso".

Scomparso da qualche giorno, Francesco Rosi vinse con il film (scritto e sceneggiato insieme a Raffaele La Capria) il Leone d’Oro al Festival di Venezia del 1963. Il protagonista della pellicola è l’eccellente Rod Steiger nei panni di Edoardo Nottola, un costruttore cinico ed arrogante che sta per presentarsi alle elezioni comunali nel capoluogo partenopeo per sfruttare le sue amicizie politiche e dare corso ad una grande e selvaggia speculazione edilizia. Ma il crollo di un palazzo, che provoca morti e feriti e fa aprire un’inchiesta, viene a costituire un ostacolo nei paini di Nottola, il quale sarà costretto a cambiare strategia e cercare, con la spudorata certezza che "nessuno è incorruttibile", nuovi alleati nella politica.

Rosi mostra una mano da maestro nella rappresentazione della realtà della città di Napoli e, inoltre, si rivela un regista di intuito che sa raccontare con rigore e stile una storia non datata di collusione malavitosa tra speculatori e politici. Un film attualissimo che ha permesso, più di altre pellicole (vedi Salvatore Giuliano) di legare il nome di Rosi al cinema d’inchiesta e politico che comparì sui nostri schermi agli inizi degli anni sessanta.

La scomparsa di uno sguardo civilizzatore e di assoluta originalità come quello di Francesco Rosi è di sicuro una perdita gravissima per il cinema italiano, ma bisognerebbe ora evitare di farne di lui e della sua opera un santino, abbandonando l’enfasi con cui la stampa ha voluto ricordarlo e affrontando un’ analisi più approfondita di tutto il suo lavoro, cercando di non oscurare gli aspetti discutibili che non mancano.

Per questo dovrebbe non poco far riflettere quanto ha scritto il più militante e impegnato dei nostri critici, Goffredo Fofi, sul quotidiano dei vescovi Avvenire: "La sua impostazione laico-borghese di stampo illuminista non ha permesso a Rosi, come non ha permesso a molti grandi nomi del nostro giornalismo e della nostra cultura, di leggere e interpretare adeguatamente la confusione dei nuovi tempi con la necessaria acutezza". Dal giudizio perentorio di Fofi può dirsi aperto il dibattito.

18/01/2015, 11:39

Mimmo Mastrangelo