La lunga gestazione del progetto ha fatto maturare nei registi la consapevolezza che l’unica maniera di rappresentare la complessità della situazione in cui versano i soggetti coinvolti fosse quella di assistere alla loro quotidianità, interferendo al minimo con il suo svolgimento.
Il documentario non segue dunque una sceneggiatura preesistente, ma è il risultato della frequentazione in strada, di pedinamenti diurni e notturni spesso silenziosi e molto lunghi, che i registi hanno compiuto in un arco temporale lungo un anno. Tutti i soggetti filmati sono fortemente inseriti all'interno degli spazi urbani di Genova, ma il volto della città è volutamente reso irriconoscibile, a sottolineare che potrebbe trattarsi del racconto di qualsiasi altra città italiana – da qui “quando la città soffre”.
Il documentario procede spesso per profondi e stridenti contrasti, come quello tra le vie e i quartieri agiati della città e la miseria di queste otto vite, o quello tra la loro presenza vicino alle stazioni – luoghi di continue partenze – e l’immobilità della loro condizione, o ancora tra l’intimità del proprio quotidiano e la necessità di viverla in pubblico, per strada.
Carla Grippa e
Marco Bertora