Note di regia del film "Ananke"
Il perenne senso di precarietà ci ha portati a guardare alla pura fallacità dell'essere umano. Crediamo di essere liberi, ma osiamo poco, poiché l'uomo è pervaso costantemente dal sentimento di ùbris. La tecnologia, la tensione ad accessori velleitari, quali la fama, il successo, il benessere, la ricchezza, spesso ci distolgono da concetti sani e primitivi. La natura veglia e ci sovrasta, non le siamo affatto riconoscenti, ci comportiamo come figli ingrati, senza scorgere mai lo sguardo che proietta su di noi. Il dolore, allora, è atavico ma salvifico, serve a riscoprire la nostra coscienza e la nostra essenza. L’apatia che travolge l’essere contemporaneo porta alla depressione, siamo vittime dell’ineluttabilità della natura, della vita che scorre e che ci dimentichiamo di osservare, di rispettare. Tutto deve essere edulcorato, lenito, soffuso. Sogniamo una dolce morte, ci rifiutiamo di invecchiare, desideriamo essere divini per non sentirci falliti. Tutto ciò che è intorno a noi però è fuori dalla nostra portata, la tecnologia e il progresso sono solo prodotti che soccombono terribilmente ad un’entità superiore semplice, quale è la vita, determinata dal tempo e dalla natura. Ananke pone al centro della propria struttura la visione, il potere ipnotico e fascinatorio delle immagini. Ananke è un initerario intimo nelle difficoltà della vita, nelle atmosfere ostili e rarefatte della natura.
Claudio Romano