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Note di regia del film "Lo Scambio"


Note di regia del film
La mia volontà era fin dall’inizio del progetto di fare un film su una storia di crimine tratta da fatti realmente accaduti che non fosse un mero resoconto della cronaca del tempo. Nelle intenzioni mi interessava sondare la natura dei personaggi e delle situazioni per estrarne una drammaturgia che vivesse di vita propria al di là dei fatti reali, visto che gli elementi di partenza erano molto forti e in essi era evidente la relazione di causa ed effetto. E mi interessava anche andare in direzione di un racconto oscuro in cui ciò che appare rivela delle crepe che via via si allargano in un gioco di svelamenti.
Nel film durante le fasi dell’interrogatorio il protagonista parla di fatti e crimini legati a giochi ed equilibri di potere interni a Cosa Nostra in quei giorni sanguinosi dell’ellissi dei corleonesi. Mettere in scena la cronaca che ha sfaccettature simboliche non indifferenti è estremamente complicato, come è complicato quel mondo criminale. E simbolica sembra essere la scatola di fiammiferi che appare lungo l’arco della storia, che non sembra avere nessun particolare significato tranne che quello di essere un indizio, un piccolo particolare che nella realtà rappresenta in nuce la trattativa del boss Bernardo Provenzano con lo Stato italiano: la trattativa che ha portato i frutti più consistenti negli anni successivi e ha dettato la direzione di marcia principale della mafia, la fine della strategia delle bombe e dell’assalto frontale allo stato e al suo posto la politica della sommersione e degli affari in una “silenziosa e asettica normalità”. Il business si sostituisce alle armi. Non più omicidi ma movimenti di enormi capitali da investire o già investiti che producono ricchezza anche in altri territori e in altre parti del mondo e non solo in Sicilia. La nostra storia si svolge nel momento di passaggio tra questi due periodi radicalmente diversi ma sempre cruenti all’interno della storia recente della mafia.
Il film vuole essere una storia morale in cui si instaura un rapporto di causa ed effetto tra gli accadimenti, a volte labile e appena percepibile, ma in cui tutto sembra rispondere ad una legge del contrappasso. Una storia raccontata in uno stile grafico essenziale e netto, emotivamente analitico, in un’atmosfera lontana dai cliché della Sicilia e della criminalità, con caratteristiche visive intrise di una freddezza nordica. I personaggi sono seguiti da molto vicino. I loro dialoghi scarni, i loro movimenti mirano a rappresentare una profonda interiorità del male, piuttosto che non una mera riproduzione di situazioni e luoghi.
Uno stile che più si addice ad un narrato concepito matematicamente nelle scelte dei personaggi e nella essenziale espressione dei loro visi e dei loro corpi. Un inaspettato e drammatico apologo in cui la natura dei personaggi viene celata, a partire dal fatto che nessuno ha un nome. Un contrappasso emotivo, come nel rapporto privato e intimo di una coppia, in cui i due si portano dietro pesi “morali” che incidono profondamente nel loro destino. La cifra stilistica ed emotiva del film vive anche di due situazioni in contrappunto: ciò che avviene dentro una casa e ciò che avviene fuori. Due situazioni concepite scenicamente e visivamente in maniera differente, per marcare nettamente la dimensione familiare e di coppia e soprattutto la condizione psicologica della moglie, dall’azione esterna. Un confine che con lo scorrere della narrazione si fa sempre meno percepibile.

Salvo Cuccia