TFF33 - "Il Successore", ribellarsi al proprio destino
Ci si può ribellare al proprio destino, e passare "dall'altra parte" (quale che sia)? La risposta è sì, anche se non è semplice.
"Il Successore" di Mattia Epifani ne racconta un esempio perfetto, quello di Vito Alfieri Fontana, ingegnere ed ex-proprietario della Tecnovar, azienda pugliese specializzata nella progettazione e nella vendita di mine antiuomo.
Dopo aver seguito le orme paterne continuando il lavoro dell'azienda di famiglia, un giorno - dopo aver realizzato grazie a una conversazione col figlio piccolo, in particolare - capisce di essere in fin dei conti un assassino, o quantomeno di aiutare gli assassini nel loro compito. E decide di cambiare vita, stravolgendola e arrivando all'estremo opposto, quello di impegnarsi nel campo della rimozione delle mine.
Spostando il racconto
tra la Bari della vita di Fontana e la Bosnia Erzegovina del suo (doppio) lavoro, Epifani mostra il percorso di una persona che non ha paura di rimettersi in gioco, andando contro la propria famiglia (lo scontro con l'ingombrante padre) e contro la convenienza economica e sociale. Ma trovando così una nuova ragione di vita, una nuova forza e una consapevolezza di sé impensabile prima.
Il ritmo del racconto è un po' lento, probabilmente così cercato e voluto (del resto il "cambiamento" del protagonista ha richiesto tempo), ma alla lunga penalizza il fluire del racconto: per il resto funziona tutto, e
il messaggio per tutti gli spettatori (senza voler essere universale, ma essendolo) è forte, chiaro, rivoluzionario. 26/11/2015, 16:00
Carlo Griseri