Note di regia di "9-1+1 = E' Abbastanza per Te"
9-1+1 è una ricognizione all'interno di una relazione, “estemporanea”, cioè circoscritta in un numero di appuntamenti, atti ad ottenere una narrazione o una curva di tensione che cresce a mano a mano.
J.L. Godard parla di sceneggiatura-programma e sceneggiatura-dispositivo, dove la prima sarebbe inscritta in un sistema di produzione ortodosso (industriale), mentre la seconda garantirebbe margini di creatività superiori, essendo che il film è scritto/tracciato nel corso stesso del suo farsi. In questo caso, la sceneggiatura, diventa cinema, cioè è leggibile, pur essendo scritta posteriormente alle riprese, sulla base di dialoghi improvvisati. In questo senso è invertito completamente l'ordine costituito, in termini cronologici, cioè dalla sceneggiatura (nascosta) che porta al film, si passa al volto (quando parla) “nascosto” dalla pagina della sceneggiatura, resa visibile dal cartello di stampo classico; anche se nel proto-cinema muto il cartello era differito rispetto al dialogo.
Perché? Perché questo gioco, forse un po' faticoso? Per rispondere bisogna citare un altro grande cineasta, A. Hitchcock che, intervistato da F. Truffaut, parla di un congegno drammaturgico chiamato Mac-Guffin. Il Mac-Guffin è un oggetto conteso dai protagonisti della storia; possono essere soldi, un tesoro, dei documenti segreti (o per fare un esempio conosciuto, la valigia piena di chissà-cosa in Pulp-Fiction) qualunque cosa che in quanto ritenuta preziosa spontaneamente dagli spettatori, giustifichi tutta la lotta per impossessarsene, lotta che crea la narrazione stessa. Ma aggiunge il regista americano, in realtà un Mac-Guffinin quanto tale, deve avere un valore del tutto marginale nella vicenda, cioè in un modo o nell'altro, marginale resta, ai fini della storia, la natura del suo contenuto.
In 9 – 1 + 1 = E' ABBASTANZA PER TE, il Mac-Guffin è, se pur implicitamente, l'intreccio erotico dei corpi, che è rimandato continuamente, durante tutti gli appuntamenti. Ora, è opinabile, se ne può parlare, può essere oggetto di discussione, il fatto che una bocca che parli (come una bocca che mangi) sia eroticamente attiva/ta, cioè che l'atto della verbalizzazione, appartenga comunque sempre alla dimensione dell'eros, di fatto, in tutto il percorso, viene trattata come se lo fosse. Ne consegue che il cartello bianco (con la texture della carta) si pone quindi un duplice scopo. Il primo è appunto, rendere continuamente differito, procrastinato, l'eros, che in termini concreti potrebbe realizzarsi anche solo semplicemente potendo godersi finalmente l'immagine di un volto che parla. Il secondo è riportare, sulla carta, il parlato, cambiandone lo statuto, affinché lo spettatore la possa cogliere, appunto come su un libro (o una sceneggiatura), come fosse scritto, cioè in altri termini, come se le persone (i protagonisti), pur coinvolti nella spontaneità di una nuova relazione, fossero ancor più che pensanti pensati, più che parlanti, parlati, più che sceneggiatori, sceneggiati.
In questo modo l'eros, la parola greca che sta per amore, si traduce su un piano radicalmente altro, cioè si pone come fede nella tra(n)s-formazione. E quindi il cinema è strumento di indagine, prima che macchina spettacolare, per conoscersi e lasciarsi ri-conoscere, portando, è l'auspicio, lo spettatore ad attraversare se stesso. La parola “ambiguo” nella sua etimologia, significa, indurre l'altro a girare intorno (all'oggetto del desiderio) ma se nel film, l'oggetto del desiderio sembra essere in un primo momento, il corpo o il prestigio, passo dopo passo, passando per le emozioni, diventa poi, il significante stesso.
Federico Tinelli