FdP 56 - Intervista ai registi Massimo D'Anolfi e Martina Parenti
Dietro alla costruzione dell'imponente e affascinante Duomo di Milano, c'è una storia di seicento anni che ancora non ha trovato conclusione. Con "
L'infinita fabbrica del Duomo" Massimo D'Anolfi e Martina Parenti hanno affrontato un viaggio nel tempo alla scoperta dei segreti, delle arti e dei mestieri che si celano dietro a questo gigantesco lavoro, e a Cinemaitaliano.info raccontano come si riesce ad immortalare la Storia.
Il vostro film scava dentro a seicento anni di storia, e la sensazione è che la maggior parte delle pagine le abbiano scritte non tanto i potenti, quanto proprio i più poveri, vero?
Fare un film su un monumento che attraversa tanti secoli vuol dire confrontarsi inevitabilmente con il tempo. A realizzare i simboli delle città, le piramidi, le moschee, e tutto ciò che l'uomo sente parte di se, non è la Storia ufficiale, ma quelle storie più piccole, le storie delle mani che nessuno conosce e che hanno scolpito quella pietra per secoli. Il nostro cinema parla sempre di umili, non ci sono mai degli eroi, e questa è l'apoteosi del non eroe, un'epopea degli umili. E infatti quando abbiamo deciso di fare il film, ciò che ci aveva colpito maggiormente non era tanto il Duomo in se quanto la Veneranda fabbrica del Duomo.
A proposito di sconosciuti, ciò che più colpisce del film sono forse proprio le statue dismesse cui il tempo ha ormai portato via il volto. Appaiono come anime del purgatorio in attesa di giudizio...
E' esattamente ciò che volevamo rendere. Quando abbiamo trovato quel cimitero delle statue abbiamo pensato che quello era il punto di mezzo da cui o sali verso il paradiso o scendi all'inferno. Il cimitero è stato importante per risolvere in immagini il film, come l'archivio è stato fondamentale perchè racchiude la scrittura, che nasce in quel posto, è li conservata, e nel film fa un po da contrappunto.
Siete riusciti a raccontare la storia di una delle più imponenti costruzioni al mondo con un'estrema poesia e leggerezza, tipica del vostro cinema. Come si riesce ad essere leggeri davanti a così tanto marmo?
I film sono dei viaggi, e questo era pieno di pericoli. Riuscire a riconoscerli ed evitarli aiuta, ma poi non c'è una vera formula, più che altro è una tipologia di approccio. La leggerezza dipende molto anche dall'amore che uno ha per le cose, come l'archivista appassionato dei numeri che cerca di fare in modo che tutto torni. Arriva se ami le cose piccole che stai inquadrando.
Avete visitato le cave di marmo e siete entrati nelle botteghe degli artigiani, fianco a fianco a chi sta proseguendo un lavoro tanto importante quanto senza fine. A vostro avviso quella gente si rende realmente conto di stare contribuendo alla Storia?
Ci sono storie familiari dietro, e le persone che lavorano in quei luoghi hanno avuto il padre e il nonno che anni prima ci hanno lavorato. C'è l'orgoglio di sapere che quella è una cava che da il marmo solo per il Duomo. Questo film racconta il punto di partenza e quello di declino della civiltà europea dominante per sei secoli. Oggi quelle costruzioni non sono più pensabili in questa parte del mondo e forse tra un po di tempo il Duomo si restaurerà stampandolo in 3D. E sia chiaro, questa non è un'utopia, ci stanno già lavorando con pezzi pre-lavorati e poi ridefiniti dagli artigiani.
Questo film è la prima parte del progetto "Spira Mirabilis" che interroga il concetto di immortalità attraverso gli elementi. Come procede il lavoro?
"L'infinita fabbrica del Duomo" è in qualche modo uno spin-off del progetto, racconta non tanto l'immortalità, quanto il divenire, e proprio quel cimitero delle statue ci ha permesso di rendere l'idea della circolarità del tempo che si ripete. "Spira Mirabilis" lo stiamo ultimando e crediamo che sarà pronto per giugno prossimo.
29/11/2015, 21:03
Antonio Capellupo