Note di regia di "Redemption Song"
Alla base del documentario c’è il desiderio forte di empatia con l’universo nero che ci circonda, quello a noi vicino e quello lontano che spesso giunge a noi sulle barche della disperazione. Attraverso il viaggio a ritroso di Cissoko, il protagonista africano sbarcato profugo a Lampedusa, è interessante comprendere meglio la difficile realtà dalla quale partono molti migranti, cosa li muove, le prospettive. Contemporaneamente c’è la voglia di contribuire a far luce sui falsi paradisi che spesso attendono migliaia di giovani, al di là delle frontiere sbarrate. In particolare, il protagonista, dotato di spirito combattivo a difesa dei diritti della sua gente, desidererebbe “contribuire alla corretta informazione, affinché i leader europei prendano in piena coscienza le decisioni di estrema importanza, per fermare le guerre, gli abusi di potere e le violazioni dei diritti umani.
Sarebbe necessario che i governanti africani si sensibilizzassero e cambiassero qualcosa nelle proprie politiche, combattendo quelle stesse guerre e contemporaneamente le malattie, la miseria e la fame con l’offerta di nuove possibilità di lavoro, affinché i giovani più validi non si sentano più costretti ad immigrare con il rischio certo di prove dolorose e pericolose”. Il protagonista, come è giusto che sia, finisce con il rivolgersi soprattutto ai suoi fratelli, alla gente comune, con la speranza di contribuire ad aprire loro gli occhi sui fatui paradisi che spesso li attendono. Il suo obiettivo è spingerli a ritrovare quello scatto d’orgoglio tanto caro a Sankara - quella speciale forma di “redenzione” che Bob Marley ha affidato ad una delle sue più celebri canzoni; uno scatto che li spinga a liberarsi delle catene mentali, a ritrovare un respiro pacifico comune e riappropriarsi della propria terra diminuendo il fenomeno migratorio che troppo spesso diviene sinonimo di nuova schiavitù.
Cristina Mantis