VISIONI DAL MONDO - "Redemption Song", in direzione contraria
Redemption song è rosso e blu. Rosso della terra, che in Guinea nasconde l’oro, prezioso, agognato, cercato da chi vuole dare una svolta alla propria vita restando in patria; blu del mare, che tanti migranti attraversano per raggiungere il miraggio Europa, dove sperano di rendere la loro vita decente. Due facce della stessa medaglia:
chi resta nonostante la situazione insostenibile e chi fugge a scapito della vita.
Caleidoscopico,
Redemption song non è – però – la storia che ti aspetti, soprattutto non rappresenta il punto di vista che siamo abituati ad ascoltare: come troppo pochi prima di lui, il protagonista
Cissoko (giovane guineano giunto in Italia dalla Libia su un barcone) riprende insieme alla regista,
Cristina Mantis, testimonianze e manifestazioni di migranti in Italia e torna in Guinea per svelare la verità.
È così che Cissoko si trasforma da migrante in educatore, e la platea che cerca e a cui si rivolge è immensa: spiega a noi "occidentali" che è stato obbligato a salire su un barcone a causa della guerra in Libia; ci dice che se i “migranti” potessero venire in Europa con un normale visto (come quasi chiunque altro) non perderebbero ogni avere – dignità compresa – per fare questo viaggio, e potrebbero tornare indietro in caso di difficoltà, come ogni emigrato che non trova lavoro; organizza visioni pubbliche in Guinea per far vedere ai suoi connazionali cosa li aspetta se decidono di affrontare il “
Viaggio” e li sprona a rimanere; riflette sulle responsabilità che hanno portato la Guinea nella situazione di povertà in cui si ritrova, e le trova nella classe dirigente, nei contrasti tra guineani, nell'incapacità a superare le differenze e i conflitti interni.
Ma Cissoko va ancora oltre. Non si ferma in Africa, e non si limita alle parole, ai ragionamenti; cerca dei fatti e li trova, lontano ma vicino allo stesso tempo.
A tre chilometri da Dakar, infatti, sempre in territorio senegalese, si trova l’
Isola di Gorée, dalla quale milioni di africani sono stati tratti in schiavitù e portati nelle Americhe. In questa (bellissima) isola il nostro “Virgilio” incontra la gente, ammira le vestigia di tempi passati, le opere lasciate in memoria di ciò che accadde, inorridisce (e noi con lui) a ripercorrere i cunicoli della
Casa degli Schiavi, dalla quale furono obbligati a partire i suoi antenati.
E da qui arriva in Brasile – precisamente in
Pernambuco, ancora più precisamente nel
Quilombo di Curiquina dos Negros – dove incontra i discendenti di quegli schiavi, in particolare dei coraggiosi che, fuggiti dalle piantagioni, si riunirono in comunità chiamate appunto “
quilombo”, diventate fondamentali luoghi di resistenza alla schiavitù. Ecco allora l’intento educativo: questo è l’esempio da portare in Africa, la lotta degli schiavi che unendo le loro forze (e anche le loro debolezze) sono riusciti a conquistare la libertà che avevano perduto. Sentire i racconti dei loro discendenti stimolerà gli africani che dall’altra parte dell’oceano assistono alle proiezioni organizzate da Cissoko?
Durante questo lungo cammino dall’Italia all’Africa al Brasile, Cissoko incontra dunque tanta gente, parla con persone comuni, con artisti, lavoratori, sindacalisti, ma in ogni dove risuonano – evocate – le voci e le parole di due grandi uomini, due fantasmi del passato che hanno ancora molto da comunicare. Anche a loro Cissoko si rivolge per chiedere aiuto nel suo intento educatore, e loro rispondono: ecco allora le toccanti immagini in bianco e nero di
Thomas Sankara (primo presidente del Burkina Faso negli anni Ottanta, il Che Guevara d’Africa, ucciso a seguito di un colpo di stato) che durante un discorso all’ONU propone – e sembra una sfida – l’orgoglio del suo popolo come una ricetta vincente da replicare in tutta l’Africa; e le parole di
Bob Marley che proprio nella sua Redemption song, ripetendo “emancipatevi dalla schiavitù mentale”, incita a liberarsi e autodeterminarsi.
13/12/2015, 08:55
Sara Galignano