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Note di Giuseppe Fiorello sul film "Io Non Mi Arrendo"


Note di Giuseppe Fiorello sul film
Quando per la prima volta mi hanno raccontato la storia di Roberto Mancini, d’istinto ho provato rabbia e commozione nello stesso momento. Due sentimenti opposti che all’interno di questa avventura umana si alimentano a vicenda.
Rabbia, perché la storia di Mancini è piena di ingiustizie, di imperizie, di silenzi, di valutazioni volutamente sbagliate. È impossibile non indignarsi di fronte alla mancanza di dedizione e vocazione alla giustizia da parte di certi organi dello Stato che avrebbero dovuto sostenere Roberto sin da subito nel suo lavoro, collaborando a un’indagine che avrebbe potuto - fin da allora - smascherare un piano scellerato, criminale e irresponsabile.
Invece lo hanno lasciato solo.
È impossibile non arrabbiarsi di fronte all’ignoranza di chi avvelena la terra sulla quale far crescere i propri figli, solo per ottenere potere e profitto. Ed è altrettanto impossibile non pensare che se il lavoro di Roberto fosse stato sostenuto fin da subito come meritava e come era giusto, forse avremmo evitato un disastro, ed oggi vivremmo in un paese migliore, più pulito e più civile.
La commozione, invece, mi è arrivata pensando alla figura di Roberto, un uomo con uno straordinario senso civile, e una totale devozione nei confronti degli altri. Un uomo che ha sempre fatto del suo mestiere una missione.
Non un eroe, ma un servitore dello Stato.
Come faccio sempre, prima di interpretare un ruolo, ho provato a capire se c’era un buon motivo per raccontare questa storia e che messaggio avrei lasciato ai miei figli. Stavolta non potendo confrontarmi direttamente con il personaggio interpretato, ho immaginato il suo sguardo, la sua forza, la sua determinazione, e per fare questo è stato importante conoscere la sua famiglia. Monika, la moglie, è stata un’amica cara e disponibile, attenta e sensibile verso il mio lavoro. Mi ha dato la massima fiducia, regalandomi tanti consigli e tanti particolari che mi hanno aiutato a interpretare suo marito. Anche conoscere la figlia di Roberto, una ragazza dolce e determinata come il padre, è stato importante. Sono certo che sarà lei a continuare da dove lui ha lasciato. Sono certo che sarà capace di riscattarlo.
Un giorno è venuta a trovarmi sul set la madre di Roberto, una donna forte e simpatica che porta
ancora nel cuore un peso enorme, perché è consapevole di aver perso un figlio per il solo fatto che faceva bene il suo dovere. Perché questa è la verità: lui aveva scoperto qualcosa che non si poteva dire, qualcosa che dava noia a troppe persone. Per questo è stato lasciato solo, e per me è stato un onore ridare vita a un grande uomo e rivelare a tutti una storia insabbiata che avrebbe potuto fare luce sul più grande disastro ecologico del nostro paese. Lo stesso fanno queste pagine, scritte in punta di penna, che da un lato raccontano la vita del «poliziotto comunista» e dall’altro scoperchiano alcuni aspetti di una realtà inedita e sconvolgente: il silenzio delle istituzioni e l’assenza dello Stato. Un testo che contiene anche una bellissima lettera dello stesso Mancini; il principio di un libro che aveva cominciato a scrivere poco prima di lasciarci e che oggi diventa l’inizio di questo importante lavoro degli autori.
Roberto diceva la verità, per questo è morto, stroncato da una malattia ma prima ancora di questo lo ha ucciso l’indifferenza, la connivenza e l’omertà di quegli uomini senza anima, senza fede, legati a giri di interessi che non guardano in faccia a nessuno. Come tutti i grandi martiri, che hanno voluto bene all’Italia, Roberto è morto per noi e deve stare tra le eccellenze del nostro Paese, perché è una bandiera della legalità e dell’onestà civile, e ha dimostrato che ci sono valori per affermare i quali vale la pena di andare avanti contro tutto e tutti, a qualsiasi costo. Questo è ciò che lascio ai miei figli. Anzi, questo è ciò che lascia loro Roberto Mancini.

Giuseppe Fiorello

13/02/2016, 16:10