Note dei curatori di "Ogni opera di confessione"
Due anni di ricerca. Tanto è il tempo che ci è voluto per trasformare e restituire i primi sopralluoghi, i primi dialoghi, le prime impressioni, in un film. Ogni opera di confessione è un lavoro che mette a fuoco la densità di tempi, relazioni e memorie che scaturiscono dalla penetrazione in uno spazio vuoto, quello delle ex Officine Meccaniche Reggiane. Il vuoto di uno spazio produttivo, una grande città-officina disabitata, un rottame del Novecento che rimane spiaggiato, inanime alla fine di un lungo corso. Ma nei vuoti si aggirano personaggi, brulicano protagonisti come residui di una grande storia, soldati giapponesi ancora in trincea di fronte all’evidente collasso. Le Reggiane non si materializzano nel loro insieme se non per pochi fotogrammi. In realtà tutto il film è una strategia di avvicinamento allo spazio che mette in luce una pluralità di personaggi e di singole comunità che vivono ai margini del vuoto. Comunità religiose (pentecostali o islamiche) che testimoniano il ruolo di grande cambiamento che ha avuto l’immigrazione nella trasformazione dei quartieri circostanti le Reggiane. Una serie di personaggi, visioni imperniate su due racconti silenziosi che si dispiegano lungo il film e che vengono raccontati attraverso gesti minimi e quotidiani dei personaggi. Ogni Opera di Confessione è un oggetto complesso. Un’opera che poggia sulla certezza formale del linguaggio cinematografico, ma allo stesso tempo capace di declinare e muovere contenuti che si rivolgono in maniera quasi plastica ad un tempo, ad uno spazio e ad una gestualità che escono dalla specificità di quel linguaggio per abbracciarne altri: la scultura, l’installazione, la performance, fin anche la pittura nell’uso dei colori e della ritrattistica.
I curatori,
Marco Trulli e Claudio Zecchi
24/03/2016, 10:48