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DIRECTOR KOBAYASHI - "Solo per il Weekend"


Al cinema con un bagaglio pubblicitario. Un grande lavoro di preparazione per questo film in sala da giovedì 7 luglio. INTERVISTA


DIRECTOR KOBAYASHI -
Director Kobayashi sul set di "Solo per il Weekend"
Quale assurdo episodio vissuto o a cui hai solo assistito nella tua esperienza da pubblicitario, vi ha portato a scrivere "Solo per il Weekend"? Per la stesura dei personaggi hai lavorato di fantasia o ti sei ispirato alla tua esperienza di vita o magari cinematografica?

"Il primo ad avere l'idea di scrivere un film basato sull'esperienza da pubblicitario è stato Giacomo Berdini. E' lui che ha dato il contributo maggiore al soggetto e alla sceneggiatura. Poi io ci ho messo i riferimenti a personaggi ed eventi della mia esperienza. Comunque nella realtà la nostra vita non è mai stata avventurosa come quella di Aldo, ma condensando in poche situazioni e personaggi l'esperienza di due vite intere abbiamo creato i pazzi archetipi del film e le difficoltà surreali che devono affrontare.

Come sei riuscito ad amalgamare il linguaggio cinematografico con quello prettamente creativo degli spot?

"Ho provato a fare un film di (quasi) novanta minuti, affrontandolo come uno spot da sessanta secondi.
Per esempio con un team di artisti (gli Art of Sool) abbiamo fatto prima il design dei personaggi e poi disegnato lo storyboard di tutto il film, arricchendolo di dettagli e informazioni visive.
Il risultato sono state circa 1200 tavole in bianco e nero, che usavo per presentare il progetto agli investitori, agli attori, ai distributori.
Poi durante la lavorazione ho condiviso lo storyboard con tutti i reparti, dalla fotografia al casting, dai costumi alla scenografia.
Per me lo storyboard è la fase progettuale di un film.
Possiamo descrivere ogni shot con le parole, ma un disegno fa capire immediatamente la mia visione a tutti i collaboratori.
Mi fa risparmiare ore di meeting e incompresioni inutili. Mi permette di avere più tempo per avere idee migliori sul set, e resta sempre un'ancora a cui aggrapparsi nei momenti di stanchezza o di scarsa creatività.
La pianificazione e la cura di tutti i dettagli durante la pre-produzione sono fondamentali nel mio modo di lavorare, specialmente quando mancano budget e tempo.
Cercando di ottenere il massimo risultato qualitativo ho affidato i costumi ad Ernesto Mameli e le scenografie a Nicoletta Shumeniack e Gabriella Cazzulo.
Oltre a loro ho voluto al mio fianco altri amici con cui avevo già lavorato in passato, spesso con una forte esperienza in pubblicità.
Persone di cui conoscevo bene la passione per questo lavoro.
Non voglio dire che chi fa pubblicità sia meglio di chi fa cinema, ma quando si gira uno spot si devono avere piani di riserva, essere ancora più precisi e attenti al dettaglio. Infatti ogni step viene approvato prima dal regista e/o dal produttore, ma poi anche dal cliente e dall'agenzia.
Non si sa mai cosa può chiedere il cliente sul set, tutto può essere stravolto all'ultimo minuto.
Le riprese e la fotografia (curate da Scott Toler Collins) sono volutamente pulite e allo stesso tempo i colori sono forti, quasi pop.
Come in uno spot ho creato uno stile visivo dominante, che fosse presente e coerente in tutte le inquadrature, con mood diversi in ogni situazione.
Per finire ho cercato di dare un ritmo pubblicitario alla narrazione, lavorando molto sulla storia prima e sul montaggio poi".

Da questa pazzia raccontata, grazie anche a dei personaggi sopra le righe, quale riflessione vuoi suscitare nello spettatore, oltre naturalmente a una risata divertita?

Nel film ridiamo delle disgrazie dei personaggi, ma solo per provare a minare le barriere mentali dello spettatore. Per citare Patch Adams: "La depressione è un'epidemia di portata mondiale. Nel 2020 secondo le stime dell'OMS la depressione sarà la più diffusa malattia del pianeta. Personalmente credo che la maggior parte delle depressioni abbiano le sue radici nella solitudine, ma la comunità medica preferisce parlare di depressione piuttosto che di solitudine. È più facile liberarci del problema dando una diagnosi e una scatola di farmaci."
Il fulcro del film sono proprio le dipendenze che i personaggi hanno sviluppato a causa dei loro malesseri interiori. Per renderle più esplicite ho creato questo mondo naif, come in un episodio dei Simpson, ma in live action.
Non a caso il film inizia con un fumetto animato, che ha uno stile visivo diverso dal resto, ma ci si allaccia a livello narrativo, come gli episodi di "Itchy & Scratchy" dentro i Simpson".

Ci sono dei rimandi cinematografici o dei modelli a cui ti sei ispirato per Solo per il weekend?

"Oltre alle serie TV animate ci sono le influenze di altri film non convenzionali.
Film più o meno sovversivi per il messaggio o il linguaggio cinematografico, con delle situazioni comiche o ironiche estreme.
Per esempio "Fear and loathing in las vegas", "Requiem for a dream", "The Big Lebowski", "Snatch", "Fight Club", "Wolf of Wall Street", "Pineapple Express" o "The Hangover".
Lo scontro di questi due pianeti, l'animazione e i film cult della mia generazione, ha creato nella mia testa la visione di Solo per il Weekend.

In che modo secondo te il pubblico italiano, abituato a film più democratici, recepisce Solo per il weekend? È un pubblico pronto a questo genere?

"Ho visto e ascoltato personalmente le reazioni del pubblico alle proiezioni del film durante alcuni festival italiani.
La prima cosa che mi viene detta di solito è "non sembra un film italiano".
A volte è un complimento, altre una critica, ma in ogni caso mi da la conferma che il film venga recepito come qualcosa di diverso, da inserire in uno spazio a parte, controtendenza e originale. Un certo pubblico italiano ha sempre recepito bene i film "politicamente scorretti", spesso meglio che il pubblico dei loro paesi d'origine. Purtroppo in Italia non ne vengono prodotti molti, ma penso che tutti abbiano capito il potenziale di questo filone. Non si tratta di un genere specifico, anche se viene facile associarlo alla commedia.
Ultimamente ho visto riuscirci con grande successo altri italiani come Sibilia con "Smetto quando voglio", Mainetti con "Lo chiamavano Jeeg Robot" e Rovere con "Veloce come il vento". Questi sono tutti grandi film, sicuramente migliori del mio, ma quando abbiamo iniziato a scrivere la sceneggiatura, questi inaspettati campioni di incassi, con largo consenso di pubblico e di critica, non erano ancora usciti. Ma noi probabilmente avevamo avvertito questo vento di cambiamento e ci ha contagiati, come per osmosi".

Hai già qualcosa in mente per il prossimo film?

"Io e Giacomo abbiamo molte idee in sviluppo, già da mesi ormai e tutte in parallelo. Ci sono anche altri collaboratori creativi coinvolti come Sam Lanyon Jones, membro fondatore di Tokyoplastic a Londra.
Con lui abbiamo scritto il soggetto per un film di fantascienza intitolato "Trexton".
Un soldato del futuro che farà qualsiasi cosa per salvare la sua famiglia durante una guerra su scala mondiale fra eserciti di droni.
Ho già realizzato il proof of concept per cominciare a vendere il concept insieme a Francesca Manno di Summerside International.
Poi abbiamo scritto un'altra commedia, il titolo è "8Man". È la storia di un supereroe pazzoide con poteri assurdi che si è ritirato in un posto isolato per non avere più contatti con la civiltà. Ma un giorno viene richiesto il suo aiuto per salvare il mondo.
Ci sono anche un film fantasy/storico ispirato all'Orlando Furioso e una serie TV fantasy basata su una trilogia di romanzi scritti da Jack Roland (La Ballata del levriero rosso). Per finire abbiamo collaborato con Stefano Milella (compositore della colonna sonora e consulente creativo anche di Solo per il weekend) a "Swell". Un film di fantascienza ambientato in un vicino futuro dove è vietato avere figli in modo naturale e i neonati vengono ordinati online, sul sito della Swell Inc.
Potremmo già essere impegnati per anni, se producessimo tutto quello che scriviamo. So che non sarà facile, ma ora che Solo per il Weekend sta per essere distribuito, ci potremo concentrare sui prossimi passi.
Il mio sogno sarebbe collaborare con altri produttori italiani che credono in una rinascita del nostro cinema e che sono dotati di grande talento e visione.
Per riuscire a migliorarsi bisogna essere ambiziosi e determinati, ma anche umili e aperti verso l'esterno. Ho imparato questo modo di lavorare nei paesi anglosassoni, dove il confronto è visto come un'opportunità costruttiva, non come un modo per sminuire i competitor".

06/07/2016, 08:12

Marta Leggio