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Note di regia de "La Natura delle Cose"


Note di regia de
La natura delle cose è un viaggio cinematografico nel fine vita, una storia italiana che esplora un tema universale: l’ascolto del malato terminale e del suo diritto a definire i limite tra il vivibile e l’invivibile. Il Film si sviluppa intrecciando tre linee visive.

La dimensione della realtà, Angelo e la Sla
Poche inquadrature, semplici, quadri larghi e lunghi, all’interno dei quali la malattia è mostrata così com’è, nella sua straordinaria lentezza e solitudine: il sollevamento dal letto alla carrozzina, il badante che gli fa la barba, il fisioterapista che gli muove braccia e piedi, il posizionamento del comunicatore e la calibrazione del puntatore oculare, un primo piano sui suoi occhi che tentato di scrivere ma fanno sempre più fatica. Uno sguardo che contiene l’amore per la vita e il dolore per doverla perdere, e pone lo spettatore davanti alla paura più grande di Angelo, filo drammaturgico dell’intero Film: “e se i miei occhi si bloccheranno prima che io muoia? E se scompaio prima di morire?” Un approccio visivo essenziale, che incornicia la silenziosa solitudine della Sla all’interno della quale Angelo si lascia riprendere dall’autrice e spostare dai suoi badanti, apparentemente estraneo ed impassibile. Il suo corpo è il pendolo che tiene il tempo.

La dimensione dell’avventura estrema, il viaggio astronauta
Angelo diventa uomo a tutto tondo nel dialogo, bastano poche battute per dimenticare la Sla e lasciarsi trasportare in un altrove ampio, vasto e vivace. Nel confronto dialettico Angelo non è il malato di cui avere pietà ma è l’astronauta in missione che esplora i limiti dell’umano. Una dimensione potente e affascinante, che permette di vedere oltre l’esteriore immobilità della malattia e di toccare la bellezza interiore del protagonista. La vita astronauta diventa trasposizione visiva delle inquietudini e delle continue trasformazioni che un corpo malato deve imparare ad affrontare, un repertorio ricco di suggestioni e metafore che vanno dalla goffe fasi di addestramento in piscina, alla straordinaria lentezza dei movimenti dentro la tuta spaziale, l’avventura del volo, la dolcezza dei corpi in assenza di peso, lo spettacolo dello Spazio osservato dall’oblò.
L’intento è quello di far dialogare la malattia che paralizza con la dolcezza del corpo in assenza di gravità, la presa di coscienza del protagonista con il viaggio spaziale degli astronauti. Missioni estreme, parallele e speculari. Si tratta in entrambi i casi di persone, e corpi, la cui vita è resa possibile esclusivamente dalla tecnologia. Se da una parte però questa spinge a superare sé stessi, a volare, a realizzare un sogno, dall’altra, per Angelo, diventa infine gabbia da cui scappare.

La dimensione mentale del fine vita, un viaggio nostalgico e umano
Nella dimensione del fine vita tutto diventa terribilmente importante, e non c’è distinzione tra presente, passato e futuro. La vita appare come un flusso unico di immagini, ricordi, avventure, paure e passioni. “E’ troppo facile fuggire dalla vita, senza accorgersi del suo concatenarsi” dice Angelo, ed è attraverso queste parole che si lascia andare ad un fluido e non cronologico racconto del suo essere uomo, contemporaneamente anziano, bambino, giovane, adulto. I racconti di vita di Angelo, sono vividi e sfumati, proprio come la grana del Super8 con cui vengono accompagnati. Il Super8 diventa specchio della vita e della sua magica imperfezione, il formato ideale per dipingere e raccogliere alcune delle tappe fondamentali comprese tra il venire al mondo e l’andarsene. Paesaggi umani e passaggi stagionali che accarezzano lo sguardo dello spettatore e ricamano quel labirinto temporale tanto intimo e prezioso, che è il fine vita del protagonista.

Laura Viezzoli