UN'INCERTA GRAZIA - assistenza medica necessaria per morire
L'anteprima nazionale del film-documentario ‘
Un’incerta grazia’ sulle cure palliative applicate in difficili situazioni di malattia terminale è avvenuta nella storica sala del Cinema Odeon, gentilmente concessa da
Gloria Germani, in una proiezione serale, affollatissima e partecipe. Presenti fra gli altri il regista
Claudio Camarca, giornalista, scrittore e saggista romano; gran parte dell'équipe sanitaria di FILE – Fondazione Italiana di Leniterapia Onlus – Presidente Donatella Carmi e Umberto Tombari, Presidente dell'Ente Cassa di Risparmio di Firenze, che ha cofinanziato il film.
Un'impresa non da poco fare un film su questa branca della medicina, la
leniterapia, molto giovane, fondata negli anni 50 dalla dottoressa inglese Cicely Saunders e ancora poco diffusa, che tocca un argomento oggetto per lo più di discorsi scaramantici o di dissertazioni religiose, che non danno nessun aiuto quando ci si trova a fronteggiare la propria o altrui incurabilità. La premessa è che per elaborare un piano di eliminazione della sofferenza dei malati terminali c'è bisogno di un delicato lavoro di gruppo,coinvolgente medici anestesisti, infermieri, assistenti sociali, psicologi, un prete e altri professionisti del settore sanitario, tutti molto preparati professionalmente e motivati .
Colpisce l'osservazione con cui inizia il discorso di presentazione del film da parte del medico
Piero Morino, direttore dell'Unità operativa dell'Hospice di Careggi. e cioè che la facoltà di Medicina forma lo studente a riconoscere e curare le malattie, ma nulla insegna su come affrontare pazienti affetti da malattie incurabili. A questa grave inadempienza suppliscono gli Hospices, ancora poco diffusi sul territorio nazionale, ma molto sviluppati nell'area fiorentina, grazie alla fondazione File, di cui Morino è fondatore insieme con
Donatella Carmi .
Le riprese del film sono incursioni gentili in un mondo segreto, filmate con la perizia che il regista ha acquisito osservando per due mesi il lavoro dell'equipe medica. Solo al termine di quel periodo si è sentito pronto.
C'è l'anziano dal corpo provato, che a domanda del medico risponde che no, non ha paura. E descrive senza alcuna angoscia il suo mal di stomaco passato da poco, per collaborare attivamente col medico alla ricerca delle cause scatenanti,onde evitare che ritorni. Collaborazione che avvolge il malato di interesse e tiene viva la sua fiducia e dignità, confermandogli che è qui per il controllo della sofferenza, per trascorrere con serenità il periodo, nessuno sa quanto lungo , che gli rimane da vivere.
Per la prima volta, qui, si capisce che, come il nascere è accompagnato di un gruppo di medici e infermieri, per assecondarne le fasi, lo stesso è opportuno succeda anche per il morire. Soprattutto perché l'applicazione di cure causali all'incurabilità, come avviene negli ospedali, è frutto di una routine spersonalizzata, che non porta giovamento alcuno e si configura quindi come accanimento terapeutico. A questo proposito nel film c'è una ripresa in cui il figlio di un novantaduenne descrive al medico le reazioni colleriche del padre che, ricoverato in ospedale, si sente maltrattato dagli interventi dei sanitari e sollecita il figlio a denunciare alla polizia ciò che sta subendo. Grazie alla levità con cui il dottor Morino ascolta, fa domande e suggerisce, il dialogo fra i due suscita perfino un sorriso, ma soprattutto rivela i metodi della leniterapia, di grande umanità e sapienza, Si capisce dal colloquio che nell'Hospice questa situazione drammatica verrà risolta.
L'idea iniziale di
Claudio Camarca era di scrivere per Famiglia Cristiana un articolo, intervistando i responsabili della Fondazione. Quando si è trovato all'Hospice, però, si è reso conto che non riusciva a raccontarne l'atmosfera con parole, e che solo le immagini potevano trasmettere al pubblico informazioni sull 'argomento.
Ne è risultato un
documentario di 72 minuti, non tutti però dedicati alla leniterapia.
Infatti la parte medica è inframmezzata da panorami di Firenze, colta nei suoi risvegli alla luce dell'alba, senza traffico, con particolari inediti, ma anche visioni più classiche. Una scelta che, al di là delle spiegazioni del regista, indica la volontà di alleggerire l'argomento trattato, perché a lui genera angoscia. Le sequenze di paesaggio, però, vanno accorciandosi, e l'interesse si sposta a descrivere come il gruppo multidisciplinare o i suoi componenti lavorano per fornire benessere al malato. Sul piano del film i due messaggi restano separati. Uno ci dice com'è ancora bella Firenze, l'altro descrive con quanta umanità e professionalità venga condotta l'arte di lenire le sofferenze. Anzi, l'accostamento, per assurdo, mette in luce quanto sia fredda e irraggiungibile la bellezza di monumenti palazzi e statue, in confronto con la bellezza dei rapporti interumani instaurati dall'equipe con le persone in condizioni di fragilità.
È il cattolicesimo dichiarato del regista che gli dà l'angoscia L'atmosfera dell'Hospice, fatta di benessere, magicamente creato in condizioni critiche riesce a “guarirlo”, dall'angoscia della Morte, che, secondo la simbologia cattolica( e non solo), è rappresenta di nero vestita, minacciosa e spietata, con la falce in mano. La bellezza della sequenza filmica di un lungo e ripetuto incontro fra le mani dell'operatrice e quelle del degente è emblematica al riguardo.
Camarca esprime la sua trasformazione anche dicendoci che, con questa esperienza, ha realizzato la differenza fra la Morte e Il Morire. Penso che ciò sia scaturito dalla sua osservazione del significato dell'azione del curare portata avanti nell'Hospice, protesa a contrastare il processo che svuota il malato della forza vitale, e gli produce sofferenza. Non c'è tempo né utilità alcuna per domandarsi cosa succederà quando l'energia che lo teneva in vita scompare. È finita la battaglia. È tempo, allora, di lasciarlo andare. E di aprirsi ad un nuovo arrivo, per aiutarlo a vivere meglio.
Lucia Evangelisti Roster26/09/2016, 08:24