Note di regia de "La Pelle dell'Orso"
Mentre leggevo
La pelle dell’orso, il libro di Matteo Righetto da cui il film è stato tratto, Crediti non contrattuali ho subito pensato di aver trovato il soggetto ideale per raccontare la “mia storia”, quella di un viaggio al contempo fisico e spirituale, un'esperienza iniziatica per il giovane protagonista che lo spinge a riavvicinarsi al padre dopo anni di silenzi amplificati dall’assenza della madre e dalla vita dura di montagna. Rispetto al libro volevo disegnare un mondo più duro e complesso, e trovare un equilibrio tra il racconto di genere, le suggestioni fantastiche e l’intimità di un rapporto difficile tra padre e figlio. È nata così la sceneggiatura, scritta insieme a Enzo Monteleone e a Marco Paolini. Il film racconta la grandezza del piccolo uomo mentre affronta la grande bestia, il superamento di quella linea d'ombra che segna l’uscita dell’uomo dall’età dell’innocenza per entrare in quella delle grandi sfide contro i mostri della natura e dello spirito. Oltrepassi la linea e non sei più lo stesso. E così sarà per Domenico.
Le prove della vita non si superano senza coraggio, il coraggio per combattere non solo l’orso ma anche il dolore per una perdita e la paura del futuro. Temi e strutture presenti nei grandi romanzi americani, da Le avventure di Tom Sawyer di Mark Twain ai racconti di Ernest Hemingway e Jack London. A questi riferimenti si sovrappone l’epos antispettacolare dei racconti e dei romanzi di Mario Rigoni Stern, una lezione importante soprattutto per la descrizione dei boschi, delle montagne e delle vite degli uomini che li abitano. Uno stile che si sofferma sulla contemplazione della natura, sui piccoli gesti, sui momenti sospesi, attento alle vite degli uomini semplici e alla loro relazione con il mondo contadino. Era mia intenzione fare un film che esplorasse le regole del “genere” senza però rimanerne schiacciato. Ne è uscito un film molto personale, intimo ed essenziale, nell’osservare da vicino gli stati d’animo dei protagonisti e il loro conflitto. Una fiaba nera ancorata alla realtà, dove il realismo della vicenda viene spinto al limite fino a sfiorare il fantastico. Come per l’orso, elemento quasi soprannaturale, che nella storia incarna tutte le paure più ancestrali. Il bosco quindi è il luogo centrale dello scontro\incontro tra padre e figlio, tra Domenico e el Diàol. Qui è la natura a imporre le proprie regole e gli uomini sono costretti a rispettarle. Fin da subito ho pensato a Marco Paolini nel ruolo del padre e lui ha accettato una doppia sfida: quella di mettersi nelle mani di un regista esordiente e quella di indossare una maschera inedita, da costruire con silenzi e sguardi, in un film un po’ anomalo per i canoni del cinema italiano.
Marco Segato