Note di regia di "Era Ieri"
L’idea di “Era Ieri” nasce da un’immagine: due anni fa. Puglia. Tornavo a casa dopo molto tempo. Ho acceso una sigaretta davanti al mare. Burrasca in arrivo, cielo rosso. Un vecchio walkman recuperato chissà dove, una vecchia canzone, la stessa che ascoltavano i grandi e che noi ripetevamo senza capirne il senso. “Gira, il mondo gira, nello spazio senza fine con gli amori appena nati, con gli amori già finiti, con la gioia e col dolore della gente come me”. Non esistono più i jukebox, ho pensato. Non esiste più quel modo di amare. Da grandi, non si ama più come si ama quando si hanno tredici anni: forse di più, forse meglio. Ma mai più nello stesso modo. Mi sono vista adolescente, sospesa in un mondo che sentivo incapace di raccontarmi, di raccontare chi ero davvero: i miei orizzonti erano il mare in fondo alla strada sterrata, il limite dell’acqua blu da non varcare perché troppo profonda, il cielo che indicava un altro universo fuori dalla Puglia assolata.
Era Ieri ha dunque una matrice profondamente autobiografica, nasce dal desiderio di raccontare la lotta per essere se stessi, le piccole ferite che aiutano a crescere. Per il mio esordio alla finzione, ho scelto di raccontare quello che mi era più familiare e vicino: la mia terra, il mio dialetto, la me che ero. Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza visto come una guerra, come un rito doloroso e necessario hanno determinato alcune scelte stilistiche del film: il mare che accoglie Giò come in un battesimo laico, i colori del film sospesi e freddi come quelli di una terra non ospitale, le inquadrature sporche che schiacciano questi giovani corpi in un orizzonte soffocato, in un regno di nessuno, il suono che è quello del vento, dell’abisso e del silenzio. Il silenzio, perché l’amore tra Giò e Paola è fatto di sguardi e non necessita di parole, il silenzio perché la fratellanza tra Giò e Matteo è fatta di corpi dissimili e gesti parimenti eroici, il silenzio perché in silenzio si tradisce e in silenzio si assiste al capovolgimento, al crollo del proprio mondo. In silenzio si muore e si rinasce. Si diventa altro, si diventa grandi. Un piccolo romanzo di formazione con il volto di Giò a raccontare di me, con Paola simbolo dell’amore e del desiderio, Matteo segno della fratellanza e del regno degli uomini. La banda dei ragazzini a raccontare della spensieratezza di un universo infantile pronto a corrompersi, in cui i giochi sembrano sempre qualcosa di diverso rispetto a ciò che la camera mostra. Per vocazione e mestiere ho dedicato gli ultimi anni della mia vita alla forma cinematografica del documentario. I miei lavori precedenti hanno attraversato territori liminali: libera scelta e prigionia in “Pater Noster”; legalità e criminalità in “My Marlboro City”; la messa in scena del proprio corpo e il genere in “Mio Sovversivo Amore”; la vita/luce e la morte/buio in “Dal Profondo”.
Seppur girati in luoghi distanti, questi miei documentari hanno tutti in comune personaggi femminili alla ricerca del proprio posto nel mondo o desiderosi di allontanarsi da un destino imposto. La mia base documentaristica permane attraverso la scelta di Giò come eroina di questa piccola epica dell’infanzia e la scelta di attori non professionisti. Questo piccolo film è dedicato a me stessa bambina, alla me stessa presente, a tutte le Giò che ho conosciuto nella mia vita, a quelle che non ho mai incontrato, a quelle che sono ancora in Puglia a correre su una spiaggia, a quelle che arriveranno a prendersi la loro fetta di mondo.
Valentina Pedicini