Note di regia de "L'Ultima Spiaggia"
Sono nato e cresciuto ad Atene, e vivo a Trieste da otto anni, l’età di mio figlio. Ho scoperto con lui la spiaggia del Pedocìn, dove intere generazioni di bambini nati a Trieste hanno mosso i primi passi.
Avendo trascorso la mia infanzia sulle spiagge dell’Attica, in una città di mare come Trieste mi sono ritrovato a casa, e ho cercato differenze e similitudini con i luoghi delle mie origini, e questo mi ha portato a riflettere molto sulle frontiere, le discriminazioni, l’identità nazionale e quella sessuale.
Un muro nel bel mezzo di una spiaggia, nell’Europa dei nostri anni, rimette in discussione tutti i nostri fondamenti. È così che è nato questo progetto, e ho iniziato a frequentare la spiaggia già durante l’inverno, stabilendo un legame di fiducia con gli impiegati dello stabilimento e con i frequentatori assidui del luogo. Seguendo il loro ritmo quotidiano, scandito dal tempo e dalla natura, mi sono accorto che davanti a me si stava schiudendo un intero microcosmo.
Trieste: cosmopolita e multiculturale, città italiana e insieme austriaca, balcanica, greca ed ebraica. Una città dove nessuno si sente straniero perché lo sono un po’ tutti, in un modo o nell’altro. Una New York mancata a causa degli eventi storici della prima e della seconda guerra mondiale. Un mondo “ex”, dove un passato carico di promesse ha ceduto il passo alla delusione, alla caduta delle grandi speranze. Un luogo dove nessuno si vergogna di sentirsi un perdente, perché si tratta di uno stato d’animo comune, una filosofia di vita. Una città di confine che mette in discussione tutte le definizioni di origine, d’identità e di appartenenza, e dove un muro può diventare il simbolo di un’utopia e abbattere i “muri interiori” che ognuno di noi nasconde dentro di sé. Raccontare la storia del muro del Pedocìn è un po’ come raccontare noi stessi, tutti habitué di un’ultima spiaggia alla ricerca di un posto al sole.
Thanos Anastopoulos
Conoscevo bene questa spiaggia e le mille storie che sono diventate la linea narrativa del film: ne avevo già respirato le atmosfere, avevo ancora nella memoria i volti di quei personaggi in carne e ossa, portatori fragili di umanità. Perché al Pedocìn mancavo da molto tempo, ma è dove sono cresciuto e dove ho lasciato il mio cuore.
Scoprire le proprie radici, dopo tanti anni, è stato catartico. Riconoscere le piccole e grandi avventure umane che in uno spazio così piccolo si possono incontrare, ritrovare la varietà e la forza dell'umanità, è stata l'energia che ha dato forza a questo progetto.
Tutti i giorni trascorsi con i piedi ben piantati in questa spiaggia, con lo sguardo su donne e uomini nudi, sulle strane e obsolete architetture, sul mare, hanno avuto un effetto che trascende il tempo: da principio, come durante un sogno lucido, ho potuto scegliere di vivere tutto con gli occhi, le prospettive e le dimensioni del bambino che sono stato. Poi, in un secondo momento, ho incontrato un tipo di virilità d’altri tempi, che non ammette altro al di fuori di se stessa.
Mentre passo tra i corpi abbronzati, sudati, anneriti, rievoco il punto di vista del mio io bambino, impaurito dai seni troppo grandi di donne sconosciute ma familiari oppure, un istante dopo, posso guardare con gli occhi di un uomo adulto e riconoscere la forza e l'emancipazione di persone che si sentono libere di essere ciò che sono.
Con la preparazione necessaria di lunghi mesi, abbiamo costruito un rapporto con tutti i frequentatori del posto che ha consentito di realizzare un documentario di osservazione, in cui le storie sono nate da sole col fruire del tempo senza che ci sia stato alcun tipo di invadenza o influenza.
Non abbiamo progettato incontri tra i personaggi né stimolato gli argomenti di discussione. Tutto è stato tutto frutto della vita spontanea di questa spiaggia, dello scorrere naturale del tempo che ci ha imposto una sorta di superamento dei generi del documentario e della finzione, per raccontare al meglio gli archetipi classici dell'uomo. La vita, la morte, i valori culturali e i valori morali. In una città di confine che rappresenta al meglio la multiculturalità e che porta con la storia una legame indissolubile.
Davide Del Degan