FdP 57 - MONTE e D'AMORE: "Il tentativo
di far combaciare il cinema e la vita"
A due anni da "
Memorie",
Danilo Monte e
Laura D'Amore, regista e produttrice ma soprattutto compagni nella vita, hanno scelto di raccontare il loro tentativo di diventare genitori attraverso la fecondazione assistita.
Nasce così "
Vita Nova", un documentario che resta in bilico tra la dolcezza e il dolore, il sorriso e il pianto, attimi di vita filtrati dalla perenne presenza della macchina da presa.
Intervenuti a Firenze in occasione della prima al 57o Festival dei Popoli, gli autori hanno raccontato a Cinemaitaliano.info le scelte estetiche e le motivazioni che stanno dietro alla realizzazione del film.
Il film nasce dalla volontà di esplorare il tema della fecondazione assistita o da un lavoro che volevate fare su voi stessi, una sorta di cinematerapia?
D: Diciamo che nel momento in cui ci stava succedendo questa cosa abbiamo pensato che sarebbe stato bello seguirla in un percorso che prevedeva il nostro quotidiano. Sono stato io a proporlo a Laura, ed entrambi ci siamo ricordati di ciò che era successo con il film che avevo fatto con mio fratello, un percorso che andava dal concepirlo al realizzarlo al portarlo in giro, qualcosa di doloroso ma certamente umano e pienissimo.
L: Per le riprese mi sono lasciata guidare da Danilo. Quando per "Memorie" si è messo alla ricerca delle immagini di archivio dei tempi in cui era un ragazzino, si è ricordato di averle girate lui stesso. Ha passato la sua vita osservando ciò che succedeva con la camera, e anche quello che ci stava succedendo per lui era fondamentale doverlo riprendere. Per me non è mai stato un problema e rivedere tutto il materiale girato è stato per noi super-arricchente.
Come si riesce ad essere al tempo stesso compagno e operatore di macchina-regista, in balia di continue emozioni che ti succedono dal vivo?
D: Si tratta di un evidente sdoppiamento di personalità, due realtà che perennemente si parlano nella mia testa. Quindi un equilibrio non c'è, è una follia di due persone opposte, una che vive emozioni e l'altra che vuole farci un film sopra, finendo per litigare. Da quel litigio poi viene fuori la modalità di ripresa. Facendolo per lavoro devo realizzare belle inquadrature, li invece devo lottare con questa esigenza estetizzante per recuperare l'umanità.
Ti è mai capitato di pensare "va bene filmare, ma a tutto c'è un limite" e di chiedere a Danilo di spegnere la macchina?
L: Durante le riprese non ho mai sentito l'invasione della macchina da presa, anche perchè vivevo completamente il progetto. L'unico momento è stato in fase di lancio del film per il Festival dei Popoli. Dovevamo fare un mini-teaser di otto secondi, e quando sono rientrata a casa Danilo aveva preparato un video con la mia immagine e la scritta "un'esperienza di fecondazione assistita". Mi sono fermamente opposta, perchè è un film pieno di emozioni, mica "un'esperienza". Su quello abbiamo discusso e alla fine modificato.
Riprendendo la vita che scorre, a volte ti ritrovi dinnanzi a lunghe e importanti sequenze che è rischioso tagliare, perchè potresti finire per perdere l'effetto-realtà. Come affronti il montaggio?
D: Quello che mi spinge a montare in questo modo è un tentativo di autenticità, svelare ciò che stai facendo, mentre di solito il cinema cerca dei trucchi per nasconderlo, e con quei trucchi ti da un'impressione di realtà. Cerco di aumentare il rapporto di fiducia con chi sta guardando, quindi puoi contare tutte le volte che taglio, annullo i controcampi e inserisco buchi neri per il cambio di sequenze.
Il vostro è un film profondamente intimo, tanto che viene da chiedersi fin dove può spingersi il cinema del reale e dove invece inizia il voyeurismo?
L: Quella questione me la sono posta per la lunga scena di pianto finale. Alla fine abbiamo preferito mantenere il purismo di questa scelta, perchè era un momento troppo topico da tagliare. Ma è una scena talmente forte che ti poni certe domande, è molto intimo.
D: Il discorso sarebbe molto diverso se dovessi riprendere la vita di altri, e certe scelte non le farei per una questione di rispetto e di etica. Trattandosi di noi la scelta è fatta sulla nostra pelle, e voglio che lo spettatore viva esattamente la sofferenza che viviamo. E' il tentativo utopistico di far combaciare il cinema e la vita. E' paradossale, ma la camera è come se fosse un estraneo che entra in casa e nel tempo diventa uno dell'ambiente. Io e lei volevamo fare un figlio, che è un atto creativo. Siccome questo figlio non veniva abbiamo fatto il film per creare insieme.
29/11/2016, 21:00
Antonio Capellupo