Note di regia di "Socialmente Pericolosi"
Un'intesa istintiva, forse anche una (preoccupante) affinità di carattere. L'incontro nel reparto di Alta Sicurezza del carcere di Sulmona con Mario Savio ha completamente cambiato la mia vita professionale e i miei equilibri quotidiani. E pure economici.
Persona di grande intelligenza e dal carisma indiscutibile, Mario ha catturato la mia curiosità di giornalista. La battaglia contro la malattia che lo stava consumando in carcere senza la più piccola cura è diventata la mia battaglia. Spirito eversivo? Forse.
Il bisogno di fare qualcosa è diventato anche la spinta per entrare in quel mondo a parte e con 'leggi' tutte sue, il mondo dei Quartieri Spagnoli di Napoli. Fare qualcosa per tentare di combattere la cirrosi di Mario e, contemporaneamente, portare fra i ragazzi dei Quartieri la voglia di entrare in contatto con realtà a loro sconosciute: quelle della convivenza civile, dell'impegno e del bisogno di conoscenza per costruirsi un futuro vero e da persone libere (nel senso più proprio del termine).
Ho smesso di fare il giornalista in senso tradizionale e ancora accessibile per la mia generazione (oggi ho 62 anni): quello del posto fisso ben pagato e di una pigrizia sempre più consentita con il passare degli anni e sempre più favorita dall'abbassamento della soglia di impegno, soprattutto in tv. Bisogna non dare fastidio. Non si chiede null'altro.
Fare compiti terra terra e inoffensivi.
Ho cominciato a confrontarmi con dei ragazzi cresciuti nella certezza che soltanto la prepotenza vince. La prima cosa che colpisce nei Quartieri è la violenza che fin da bambino mette chi ci nasce. A cominciare dal gioco, a pallone o a corrersi dietro a piedi e in bicicletta. Chiedere scusa non esiste: è da 'scemi', cioè da invertebrati.
Ho lavorato per anni con i ragazzi del mio progetto "
Socialmente Pericolosi". Ma quando il nostro impegno ha prodotto la possibilità di fare un film, la vecchia scuola di vita ha avuto il sopravvento. Non è pensabile che uno proveniente da 'fuori' faccia una cosa soltanto perché giusta e per passione. La fregatura c'è di sicuro. Che ci guadagna lui, quello lì? Questo film è come il momento della verità. Sapremo quante saranno le possibilità di andare avanti. Le troveremo, secondo un certo spirito eversivo, il mio…
E poi, che altro…. L'esperienza sul set con Vinicio Marchioni e Fortunato Cerlino è stata la più forte, dal punto di vista della 'confezione' di un prodotto, di tutta la mia vita. Ho girato il mondo quando lavoravo in Rai, ho messo il piede nelle realtà più assurde, realizzando come autore e regista diciotto documentari. Ma la condivisione che si crea nel preparare e nel girare delle scene di un film non ha paragoni. I protagonisti sono riusciti a entrare dentro tutti i sentimenti dei personaggi. Vinicio ha studiato me e mi ha riproiettato fuori con una fedeltà assoluta. Fortunato aveva studiato la sceneggiatura e letto il libro scritto con Mario, 'La Mala Vita'. La possibilità di incontrarlo non c'era. Ha 'sentito' la personalità del camorrista e l'ha interpretato mettendoci del suo. Il risultato è che oggi ci vogliamo molto bene: sceneggiatori, attori e troupe.
Fabio Venditti"