Fondazione Fare Cinema
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"Milano via Padova" a Torino e Follonica


Due nuovi appuntamenti con "Milano, Via Padova" di Antonio Rezza e Flavia Mastrella.

Sabato 4 febbraio 2017 alle 21:00, alla presenza degli autori, domenica 5 (alle 18 e alle 21) e lunedì 6 febbraio alle ore 21:00, il documentario sarà proiettato al Cinema Teatro Baretti di Torino.

Domenica 12 febbraio 2017 doppia proiezione alle ore 19:00 e alle ore 21:30, alla presenza di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, alla Sala Tirreno di Follonica (GR), che proporrà il film anche lunedì 13 febbraio alle ore 21:30.

Nel film spicca il lavoro di persuasione svolto negli anni dai mass media sul modo di pensare della popolazione. L'uniformità di argomentazioni relative al razzismo, inibisce il sentimento e lo rende doppiamente minaccioso.
Il 21 maggio a Milano in Via Padova, armoniosi e combattivi, iniziamo l'inchiesta: Antonio Rezza, Flavia Mastrella, Marco Tani, Massimo Simonetti, Ivan Talarico, Daniele Verlezza, Adil Bahir si muovono nella città che si risveglia. Antonio si guarda attorno, la metropoli è quasi deserta. Il sabato prefestivo consente la tipica sospensione di chi regala a se stesso l'oltraggio di un giorno di riposo. Gli intervistati si concedono con la prepotenza di chi vede in quel tempo perduto un diritto inalienabile.

MILANO VIA PADOVA parla di razzismo e insofferenza e racconta, attraverso il canto, la convivenza forzata e la cultura di chi è straniero. È il canto a farci vedere la dolcezza di un ritmo naturale da tempo dimenticato in occidente. Le risposte, a tratti di frasi fatte, in altri momenti scoordinate con l'aspetto e l'esperienza dell'intervistato, rendono metafisico lo squilibrio sociale. Nel magma di sollecitazioni i razzisti sostengono che gridare è un reato e i pacifisti cercano disperatamente di aiutare, di assistere, di voler integrare a tutti i costi chi, per volere politico, viene regolarmente maltrattato. Come se essere integrati fosse una cosa buona. È evidente quanto la mancanza di organizzazione determini la tensione tra gli abitanti che non riescono a comunicare; gli stranieri non sanno l'italiano e gli italiani non conoscono l'inglese. Viviamo inconsapevoli la violenza del disagio.

La domanda ricorrente è ”lei ospiterebbe a casa sua un extracomunitario? In un angolo, in cucina, tanto non dà fastidio, si mette in un cantuccio e la guarda, si mantiene da solo”. Sembra un quesito assurdo, ma tutti hanno creduto possibile una tale eventualità, ognuno di noi non esclude il paradosso. E allora si affaccia un dilemma insospettato: perché dobbiamo essere uniformi e uniformati? A che serve questo formalismo di democrazia caotica? Forse il problema della diversità è proprio ritenere diverso chi non lo è per niente. Siamo pezzi di carne che va al macello e non basta il colore a salvarci. Né la provenienza e neppure la lingua. Il razzismo è l'uomo che si sopravvaluta e che trova il tempo di scorgere irrisorie diversità sommerse dall'omologazione che dilaga. Gli stranieri, infatti, vogliono quello che vogliono gli italiani, il lavoro, una casa, i diritti. E mai la libertà di decidere autonomamente cosa fare. Noi, come loro, restiamo aggrappati all'infamia utopica della vita civile che ci incatena a una contingenza che crea fossati, voragini di intolleranza. Chi ci obbliga al vivere civile ci impone l'intolleranza sociale. Siamo razzisti su suggerimento dell'istituzione. Siamo razzisti programmati dalle nuove tecniche di persuasione collettiva. E gli stranieri si adeguano sviluppando un razzismo parallelo foraggiato dalla vita che scorre.

28/01/2017, 16:21

Simone Pinchiorri