BFM35 - "Fame" di Giacomo Abbruzzese e Angelo Milano
Il documentario
"Fame" di Giacomo Abbruzzese e Angelo Milano, presentato nella sezione “visti da vicino” della 35^ edizione del
Bergamo Film Meeting, racconta la genesi, l'epopea e la fine del
Fame Festival, rassegna dedicata all'arte di strada e alla grafica nata nei primi anni 2000 e chiusa, all'apice della notorietà, nel 2012.
Il festival, organizzato ogni anno a
Grottaglie in provincia di Taranto, nasce dall'idea di
Angelo Milano che, di ritorno da Bologna dopo aver concluso gli studi, decide di ridare slancio al paese natio, richiamando in Puglia tutta una serie di artisti provenienti dalla scena street bolognese ma non solo, con la volontà di portare un po' di cultura e di arte in un contesto che l'autore stesso definisce "un deserto culturale".
Il paese viene da subito mostrato come noioso e privo di attrattive e l'arrivo di questi artisti rappresenta una ventata di novità in un ambiente altrimenti statico e asettico, in cui l'unica attività di valore artistico è la ceramica, che dal XIII secolo dà lustro alla località pugliese. Le scene di vita del paese si alternano a quelle di artisti di strada al lavoro, facendo capire immediatamente come la convivenza tra questi due mondi così distanti tra loro sia difficile.
Molte sono infatti le difficoltà che gli artisti trovano al momento di organizzare il festival, una su tutte l’atteggiamento delle autorità nei confronti dei graffiti, aspetto da sempre controverso. Non sempre infatti viene riconosciuto al graffito lo statuto di opera d’arte, soprattutto se realizzato su edifici pubblici e senza un permesso. Nonostante ciò, gli artisti ricevono un sussidio da parte dell’amministrazione comunale, il quale viene però rispedito al mittente: la scelta degli artisti è quella dell’autofinanziamento, attraverso la vendita di serigrafie realizzate in casa in modo rudimentale. Questo rifiuto però costa caro: i
graffitari sono costretti a trasferirsi in campagna, in un cascinale diroccato.
Gli artisti però non demordono: la fatiscente location viene rapidamente riempita di splenditi graffiti e trasformata da esempio di degrado urbano a monumento all’arte di strada, un lungo piano-sequenza mostra, in maniera velocizzata, tutto il processo, dando forse la dimostrazione migliore di come vecchio e nuovo possano coesistere e contribuire a migliorare il volto di un paese.
Altra difficoltà è l’atteggiamento iniziale degli abitanti del paese, che volenti o nolenti si trovano ad essere spettatori, avventori, di una mostra che avviene direttamente davanti ai loro occhi e che non si ferma solo ai graffiti, ma che comprende anche performance di arte concettuale.
Inizialmente diffidenti, i cittadini sono, edizione dopo edizione, più coinvolti nel festival, più consapevoli del suo valore culturale e sempre più collaborativi con gli artisti, trasformando il tutto in una grandissima manifestazione di folklore. Gli abitanti del paese partecipano attivamente all’iniziativa perché comprendono le motivazioni per cui viene realizzata: la volontà di svecchiare l’immagine del paese, di sensibilizzare nei confronti dell’arte ma anche, se non soprattutto, denunciare, attraverso l’arte, la cattiva gestione del territorio da parte delle istituzioni.
Nel 2012 il festival vive la sua ultima edizione, sospeso per volontà degli organizzatori stessi, proprio nel momento in cui il consenso è all’apice. Se l’arte infatti perde la sua forza di dividere e provocare il pubblico, a detta dello stesso Milani, non ha più senso di esistere.
Quella che gli autori propongono è quindi
una riflessione sull’impatto positivo che l’arte e la cultura possono avere, a maggior ragione in un contesto chiuso come può essere quello della provincia italiana, nonché un grande omaggio all’arte di strada, sempre in bilico tra la volontà di essere riconosciuta e il pericolo di non venire compresa, con il conseguente rischio concreto di venire distrutta.
Alessandro Testa12/03/2017, 01:21